Io non la penso come Mark Twain e Giorgia Meloni. Mark Twain che era giornalista eppure demolì i giornalisti perché diceva: “Quando sento parlare di una pioggia di rane in California, o del ritrovamento di un serpente marino nel deserto, so di essere il padre di queste povere creature”. Mentre Meloni, dopo l’inchiesta di Fanpage sui giovani di FdI, afferma che infiltrarsi è un metodo da regime e interpella addirittura il Quirinale, in merito.
Io non la penso come loro e oggi mi piace raccontare che Francesco Cancellato, direttore responsabile del giornale online Fanpage, non si è assolutamente mosso in una maniera non lecita. E non è stato il primo a farlo. In ordine di tempo lui stesso ricorda Channel 4, che ha appena fatto la stessa cosa in Gran Bretagna. E per il nostro Paese tornano in mente anche altri giornalisti che hanno condotto inchieste su partiti senza rivelare la propria identità: tra il 2012 e il 2017, per esempio, in almeno due casi ci si è infiltrati in riunioni del Movimento 5 Stelle. Famoso il caso del freelance Marco Zonetti, definito oggi dal M5S “il nemico numero uno”, “un’incursione del signor Anderson in Matrix”.
Io non la penso come Giorgia Meloni, che sbaglia. Le inchieste sotto copertura sono legittime e ci sono norme e sentenze che consentono ai giornalisti di infiltrarsi dentro organizzazioni politiche come Gioventù Nazionale. Mi piace ricordare qui che la libertà di informazione è tutelata dall’articolo 21 della Costituzione e quindi questo mio su Articolo 21. org sta diventando un metaarticolo!!
Mi piace anche registrare che il giornalismo investigativo ha mosso i suoi primi passi coraggiosi proprio con una donna, Nellie Bly, audace, femminista, che alla fine dell’Ottocento fu protagonista di una inchiesta in cui si finse pazza per entrare nel manicomio femminile di Blackwell’s Island. E ci entrò. E ne denunciò gli orrori.
Mi piace anche immaginare che al giornalismo undercover e alla sua centralità, riconosciuta pure dalla Corte di Cassazione che nel 2010 lo ha definito “l’espressione più alta e nobile dell’attività di informazione”, abbiano contribuito certi eroi del mito. Certi personaggi storici. Certe spy story dell’antichità.
Forse una delle prime è stata la storia del cavallo di Troia e uno dei suoi protagonisti, Sinone, può essere considerato una proto-spia di guerra. E’ Sinone infatti a inventarsi una storia e a fingersi disertore per convincere i Troiani ad accogliere il cavallo dentro le mura. Non prendiamocela con i Greci, però, perché prima di lui c’era stato il troiano Dolone, il cui nome con quel *dol richiama proprio l’inganno, che aveva tradito i compagni e rivelato ad Ulisse e Diomede la posizione dell’esercito troiano. E loro due, consumati 007, gli avevano poi tagliato la testa.
Ci sono tanti personaggi undercover anche nelle tragedie: nell’Elettra di Sofocle Oreste finge di essere un messaggero che porta la notizia della propria morta alla madre proprio per uccidere lei, la madre, e il suo amante; nel Filottete, dello stesso autore, Ulisse si traveste da mercante per rubare l’arco di Filottete che servirà a conquistare Troia. Nelle Baccanti di Euripide invece re Penteo si traveste da donna per spiare il rituale bacchico, e lo stesso fa Mnesiloco nelle Tesmoforiazuse di Aristofane.
Ad Atene troviamo spesso protagonisti di tante vicende politiche i sicofanti, accusatori di professione, con un nome che significa “denunziatore di fichi” perché loro segnalavano chi esportasse di contrabbando i fichi dall’Attica. Mentre a Sparta erano maestri nell’arte della steganografia, la scrittura coperta, cifrata.
A Roma, invece, come sempre e da sempre si parla alla pancia delle persone. E nell’antichità, in particolare sotto Domiziano, le informazioni venivano raccolte dai frumentarii, organo militare che acquistava e distribuiva il grano e intanto teneva le orecchie dritte.
Da sempre l’uomo dunque ha la necessità di scoprire informazioni sui suoi simili. Il giornalista, che “ deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini”, forse la avverte anche di più. Perché, come recita la “Carta dei doveri del giornalista” firmata a Roma nel 1993 dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) e dall’Ordine dei giornalisti, il giornalista “ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro” (…). “La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra”.
E allora sì. A volte bisogna proprio denunciarli quelli che vogliono portare via i nostri fichi dall’Attica.