Elezioni a luci spente, il Venezuela non vuole i giornalisti

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Un regime è un regime e se decide si svolgere le elezioni al riparo dagli occhi indiscreti dei giornalisti, lo fa. E’ quanto accaduto alla direttrice di Radio Bullets  Barbara Schiavulli cui è stato negato il visto d’ingresso nel Paese centroamericano per seguire il voto imminente. Di seguito riportiamo il racconto di questa vicenda fatto dalla stessa Schiavulli sul sito di Radio Bullets.

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Il 22 aprile abbiamo chiesto l’accredito giornalistico necessario per poter seguire le elezioni in Venezuela il 28 luglio.

Elezioni importanti con due principali schieramenti, da una parte il presidente Maduro e tutto quel sistema che ha fatto scivolare il paese, insieme alle sanzioni americane, in una delle peggiori crisi economiche del paese.

Come avevamo raccontato nel 2017 durante le proteste e poi nel 2018 quando l’opposizione in maggioranza in un governo congelato aveva nominato un giovane politico presidente del Venezuela, riconosciuto da innumerevoli nazioni.

La procedura

Il 26 aprile ricevo l’ok dell’ufficio dei media del governo. Accredito dal 18 al 3 agosto. Un po’ strano per chi segue elezioni in tanti paesi critici, di solito si trascorre un po’ di tempo in più dopo le elezioni, si aspettano i risoltati del voto, si vede cosa succede, si continua a parlare con le persone.

Ma il governo venezuelano è tassativo, il 3 i giornalisti devono essere fuori. Va bene, meglio di niente.

In tutto questo tempo Maduro fa di tutto per mettere i bastoni tra le ruote di chi vuole competere contro di lui.

Candidati screditati, arrestati, a cui viene impedito di partecipare, tanto che Maria Corina Machado, leader dell’opposizione inabilitata a candidarsi, è costretta a ripiegare su un ex diplomatico che sostiene e che accompagna nella sua campagna elettorale anche se lei,  è la star indiscussa di queste elezioni.

Trascorre un po’ di tempo e mi viene sollecitato di fornire i dati del volo che avrei preso e l’hotel in cui sarei stata.

Di solito noi giornalisti non prendiamo volo e hotel con tanto anticipo, anche perché sono diverse le crisi in questo momento in corso, quindi sarebbe preferibile aspettare.

Ma così è chiesto, e così faccio, prendo un volo, un hotel e mando tutto con buona pace delle autorità.

Il crowdfunding

Qualche giorno fa, abbiamo lanciato il crowdfunding, arrivano le prime donazioni che servono a coprire le spese di questo reportage.

Intanto, Maduro ha rimbalzato gli osservatori internazionali che ritiene non servano, accetta quattro delle Nazioni Unite che però sono abbastanza legati nei loro spostamenti e dice a tutti che quando, non se, vincerà sarà un futuro splendente per il Venezuela.

Difficile dimenticare gli anziani che solo qualche anno fa rinunciavano a mangiare per dare la loro cena ai nipoti, difficile dimenticare gli ospedali senza medicine, i neonati nelle scatole di cartone, i ragazzini che ravanavano nei cassonetti.

Difficile dimenticare i giornalisti picchiati, i difensori dei diritti umani detenuti e i manifestanti uccisi.

Difficile dimenticare i 7 milioni di persone costrette a lasciare il paese per non soccombere alla povertà e alla violenza. Difficile dimenticare che dopo le sei di sera non ci si fermava ai semafori rossi per paura di essere rapinati per strada o rapiti. Nella seconda riserva petrolifera al mondo.

Che cosa definisce uno stato democratico?

Ci sono dei criteri di base che definiscono uno stato democratico: elezioni libere, media indipendenti, non ci sono detenuti politici, libertà di espressione e di manifestazione. Non c’è flessibilità in questo, o è così o non lo è.

Alcuni anni fa, il direttore di un canale televisivo di news italiano si vantava di aver intervistato Maduro.

Ma intervistare qualcuno non è mettergli sotto un microfono e lasciarlo parlare a ruota libera, è dialogare se non discutere con l’intervistato, fare domande al potere che farebbe la parte vulnerabile di una società.

Difficile dimenticare il giornalista americano che a una domanda provocatoria è stato interrotto, messo su un aereo e rispedito a casa.

Visa Denegata

Ieri mi arriva un’altra email dell’articulation medio che dice che il visto è stato negato. Mi viene detto che non posso entrare e lavorare nel paese.

La mia fixer conferma che non è successo solo a noi, ma a molti giornalisti che erano stati precedentemente accettati.

Queste elezioni devono essere seguite il meno possibile. E lo saranno perché del Venezuela non interessa a molti giornali mainstream.

Elezioni pilotate, media cacciati, politici detenuti, mancanza di libertà di espressione. Non serve un genio, né forse andarci, per capire a qual è la situazione.

Niente di diverso dall’Afghanistan dove i talebani hanno quasi del tutto annullato la presenza dei giornalisti, o da Israele che non permette l’entrata a Gaza alla stampa o non accredita i giornalisti mainstream perché non controllabili. Ma anche in molti paesi africani, Iraq o Yemen, Myanmar o la Corea del Nord.

I giornalisti forse, mai come oggi, sono tagliati fuori da quella storia che i regimi provano a controllare come se fosse possibile nell’era dei social.

Gli stessi social che ci fanno assistere ad un genocidio in diretta come quello palestinese.

Che facciamo?

Il punto è, ora che si fa? Una parte di me vorrebbe provare entrare, ficcarsi da qualche parte, scrivere comunque, magari sotto pseudonimo, ma se poi mettessi in pericolo la fixer che lavora con me? È certo che non si possa fare un discreto lavoro anche da lontano, magari non tanto lontano?

Potrei andarci dopo in tempi non sospetti, o piazzarmi in Colombia dove è presente la maggior parte dei fuoriusciti, dove ci sono esponenti politici, dove la stessa Colombia è un protagonista importante di questa storia.

Oppure in Guyana dove il governo venezuelano nell’arco di quest’anno ha tentato di annettersi dei territori dove ci sono giacimenti petroliferi, scatenando una crisi internazionale.

Per ora tutte le opzioni di buon senso guardano al confine della Colombia, lo stesso posto dove non si voleva far passare gli aiuti umanitari pieni di patogeni cancerogeni come diceva nel 2018 la vice presidente Venezuelana.

Oppure si lascia stare, ci si affida alle agenzie e si raccontano queste lezioni come tante altre.

Ma il Venezuela come l’Afghanistan, la Palestina e una manciata di altri paesi, non è un posto come tanti altri. Quando vivi e racconti un posto, ti entra dentro e ne diventi parte.

Difficile dimenticare la fisicità affettiva dei venezuelani, la loro voglia di cambiare, la gentilezza dei colleghi locali e la lotta per avere un paese migliore da qualsiasi parte si stia.

Il potere non ci vuole vicino? Possiamo anche continuare a fare il nostro mestiere da abbastanza vicino.

Quindi si parte. Ma abbiamo ancora più bisogno di essere seguiti e sostenuti. Perché non solo tagliano fuori noi, ma vogliono tagliare fuori voi. Provano a far sì che il mondo non sappia.

Continuate a sostenerci, perché questa storia noi la racconteremo in un mondo o nell’altro. Che lo vogliano o no.

(Da https://www.radiobullets.com/)

 


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