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Sulla frontiera franco-italiana storie di immigrazione nell’Europa del 2024

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Sulle Alpi che separano il Nord-Ovest italiano e la Francia Sud-orientale, si trovano sentieri che vengono attraversati da storie diverse; oltre agli escursionisti, centinaia di persone migranti si incamminano ogni anno per proseguire il proprio viaggio in Europa. Dal 2016 questo tratto di frontiera, che interessa i passi di alta montagna del Montgenèvre e del Col de l’Échelle, è diventato un nuovo percorso migratorio. Esso si configura come un complesso intreccio di attori, livelli d’azione, volontà politiche e punti di vista, dal quale affiorano due dinamiche contrapposte ma complementari: da una parte, si osserva una frammentazione della gestione istituzionale, dall’altra una profonda e vivace connessione che unisce le società civili di entrambi i versanti frontalieri, animati dallo stesso spirito solidale verso le persone migranti in transito attraverso il territorio montano. Le pratiche solidali diffuse e radicate in numerosi movimenti, sono originate dalla sensibilità e partecipazione degli abitanti locali, i quali si sono rapidamente organizzati in associazioni, collettivi e organizzazioni in entrambi i versanti della frontiera. I due riferimenti principali sono identificabili nei rifugi “Fraternità Massi” ad Oulx, in Val di Susa, e “Les Terrasses Solidaires” a Briançon, nella regione francese Hautes Alpes.

A partire da un’esperienza diretta sul campo, è nato il progetto di ricerca Sulla frontiera franco-italiana: gestione dei flussi migratori, evoluzione politica e criminalizzazione degli aiuti umanitari” attraverso un percorso di indagine di sociopolitologia delle migrazioni. L’obiettivo è quello di analizzare, relativamente alle migrazioni, i meccanismi che regolano la gestione dei confini interni dell’Unione Europea nel suo complesso sistema normativo e politico. Il lavoro di ricerca, a cura del docente di Sociopolitologia delle migrazioni Marco Omizzolo dell’Università Sapienza di Roma, dipartimenti di Scienze Politiche, e di Francesca Diletta Figini neolaureata magistrale in Relazioni Internazionali e Sicurezza Globale, è stato recentemente insignito del riconoscimento accademico “Premio per tesi di laurea sul tema della legalità 2023”. Un premio che unisce il valore del lavoro svolto sul riconoscimento delle persone e del loro diritto di migrare con il concetto di legalità quale dimensionale dell’umano che supera la stretta cornice della forma per diventare percorso di vita sostanziale. Non più vita di scarto, usa-e-getta o corpo sul quale far precipitare il manganello dello Stato e del relativo pensiero, soprattutto nella sua espressione sovranista quale incubo della democrazia, ma affermazione del sé umano, cioè del progetto di vita di migliaia di donne, uomini e minori che fanno della loro migrazione una forma specifica di affermazione del comune e fondamentale “diritto di avere diritti”.

Il lavoro muove da una precisa domanda di ricerca: in quale misura la gestione della frontiera italo-francese risponde alle logiche politiche dei due Stati frontalieri all’interno del quadro di riferimento legale migratorio europeo?

Il ruolo strategico che il concetto di confine assume oggi nella formazione dello spazio globale e il suo significato nello specifico caso europeo, assume un potere produttivo, il quale parallelamente all’esaurimento dell’immagine tradizionale di sovranità dello Stato e, di conseguenza, dell’idea che si ha dei confini convenzionali, opera una rivoluzione concettuale del suo significato e ruolo. Il confine da periferico, lineare e rigido, assume una nuova dimensione, diventando il centro di gravità nella complessa geografia contemporanea della globalizzazione. Emerge il contrasto tra la modalità di gestione della frontiera italo-francese legata a una lettura tradizionale da parte delle Autorità Statali, mentre nuove dinamiche nascono, si inseriscono nel contesto e si appropriano dello spazio: il controllo delle frontiere, l’esternalizzazione dei confini europei, il principio di non refoulement e la cosiddetta violenza di Stato nel quadro europeo, così come le pratiche di polizia e la ridefinizione dello spazio frontaliero tra Italia e Francia in funzione delle evoluzioni politiche a livello nazionale dei due Stati frontalieri.

I risultati della ricerca qualitativa svolta sul campo, l’analisi del materiale raccolto e l’esperienza diretta, consentono di affermare che l’impatto delle decisioni politiche sulla frontiera in esame e, parallelamente, gli effetti del fenomeno migratorio sulla politica, si possono analizzare secondo tre prospettive: quella locale, quella nazionale e quella europea. Ciononostante, il ruolo preponderante è quello giocato dalla politica nazionale. Il manifestarsi di una politica securitaria produce un effetto di militarizzazione della frontiera dove la politica locale risulta meno rilevante e il diritto europeo, che si evolve attorno alla tematica migratoria e dovrebbe stabilire il quadro di riferimento operazionale in cui si inserisce l’iniziativa politica degli Stati, trova poca possibilità d’azione nella gestione pratica degli spazi.

Per quanto riguarda l’influenza della politica locale sui flussi migratori, il posizionamento delle amministrazioni locali non ha un peso diretto sull’andamento dei passaggi di migranti. Allo stesso modo, emerge chiaramente come l’intensità delle traversate di migranti non dipende dalla presenza o meno di enti solidali, i quali possono solamente provare a garantire un’accoglienza dignitosa e un’assistenza umanitaria e sanitaria a chi sceglie di proseguire il proprio viaggio dall’Italia verso altri Stati europei. La politica nazionale si rivela invece, secondo lo studio, fortemente impattante sulla gestione pratica della frontiera e sul ruolo che assume la regolamentazione europea. A partire dalla sospensione del Trattato di Schengen, messa in atto dalla Francia nei confronti della frontiera che la divide dall’Italia, nel 2015 sono stati reintrodotti i controlli frontalieri gestiti tramite le Prefetture sul territorio nazionale, reimponendo la volontà politica nazionale al di sopra degli accordi comunitari. Il potere dello Stato, operante sui confini interni dell’area europea, influenza sia il fenomeno della militarizzazione della frontiera e della criminalizzazione delle persone migranti in transito che degli aiuti umanitari, ripercuotendosi sugli attori solidali. Il fenomeno della militarizzazione si riverbera così, da un lato, sui corpi dei e delle migranti attraverso le pratiche dei respingimenti effettuati sul confine e il conseguente aumento dei pericoli legati alla traversata alpina e, dall’altro, sulle operatrici e operatori, attraverso i controlli e la tendenza alla criminalizzazione dell’azione solidale.

L’ambiente naturale emerge come determinante nel contesto oggetto di studio, influenzando direttamente le dinamiche umane. La propensione alla solidarietà, che anima l’azione delle persone che abitano l’area di frontiera, viene attribuita alla natura ostile della montagna come illustrato dal motto “non lasceremo nessuno morire sulle nostre montagne”. Questo legame tra identità montagnarde e solidarietà trascende orientamenti politici e valori personali, coinvolgendo tutte e tutti indistintamente. É tuttavia essenziale superare questa semplificazione della situazione: l’elaborato evidenzia, grazie alle interviste svolte, come non sia la montagna stessa a rappresentare un pericolo per coloro che attraversano le Alpi, ma piuttosto il sistema di frontiera a rendere il passaggio rischioso e talvolta mortale.

Lo studio auspica un cambio di prospettiva. Risulta necessario abbandonare l’attuale approccio emergenziale al fenomeno migratorio a favore di un modello che consenta una maggiore circolazione senza mettere a rischio le vite delle persone migranti per arrivare, un giorno, a descrivere le frontiere interne dell’Unione Europea come elementi che uniscono e non che separano. Non più cimitero di una Europa moribonda, in primis sul piano demografico, ma giardino e sentiero che rende l’Europa l’utopia fondatrice che l’ha ispirata concreta e pienamente realizzata.


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