Spacca il Senato e passa dimezzata nel tumulto la legge di Milei

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Buenos Aires, la sua gente e il Congresso, nella solennità del Senato e per le strade, hanno vissuto ieri una giornata al limite d’una democrazia divisa. Soltanto in piena notte, dopo ore di passione nell’aula e di violenta repressione della protesta di piazza che ha coinvolto anche parlamentari dell’opposizione, è stata approvata la cosiddetta Legge-Base (ridotta da 620 a meno di 140 articoli nei 6 mesi intercorsi dalla sua prima presentazione in Parlamento). Dovrà comunque essere nuovamente ratificata dalla Camera dei deputati. Stabilisce il diretto affidamento al presidente Javier Milei d’una serie di grandi privatizzazioni, d’interventi sulle economie regionali finora autonome per legge e rilevanti privilegi fiscali ai grandi investitori. Cancella per un anno o fissa limiti alle previste funzioni di approvazione e controllo degli organi legislativi. In via di principio, è una deroga fondamentale alla tripartizione dei poteri indicata da Montesquieu.

Lo scenario che ne ha accompagnato l’arduo passaggio per il Senato fotografa lo stato d’animo del paese. Il governo ha ottenuto la stentatissima approvazione della legge dopo clamorose battaglie nelle aule parlamentari e non meno ardue ma riservate intese nei corridoi, negoziando con i diversi gruppi e i singoli deputati e senatori, governatori e sindaci. Offrendo o negando, fino a rinunciare all’ultimo momento a nuove, pesanti imposte sul lavoro dipendente e sui redditi medio-bassi, riducendo il taglio delle aziende pubbliche da cedere sul mercato (da 40 a 8). Tant’è che ora dichiara l’intenzione di voler recuperare alcuni dei cedimenti compiuti nel passaggio alla verifica dei deputati, tra i quali ritiene di avere un maggior spazio di manovra. Ne ha bisogno per far quadrare almeno formalmente e nell’immediato i conti pubblici, nella speranza di ottenere così dal Fondo Monetario un ulteriore ancorchè ridotto credito, di cui ha disperato bisogno.

Ma tutto resta appeso a un filo sottile. Al Senato il voto di ieri è in realtà finito in parità: 36 a favore, 36 contrari. A decidere è stato il voto di Victoria Villaruel, figlia e nipote di militari legati alla dittatura che lei rivendica, costretta a rinunciare alla tradizionale terzietà della carica di presidente dell’Assemblea per non vedere vanificati i non sempre ripetibili sforzi compiuti. Il ritorno alla Camera non sarà agevole. La spaccatura -la grieta– è una fenditura profonda che attraversa ceti popolari e classe media. Non ne sta a salvo neppure il mondo dell’imprenditoria. In più quartieri della capitale, e anche di qualche altra città, nel buio notturno si udivano ancora gli echi dei cacerolazos, dei coperchi battuti contro le pentole vuote per ricordare l’aumento pauroso della povertà, dei disoccupati, dei senzatetto che invadono anche i marciapiedi dei quartieri alti. In una muta replica a Milei che nega tante necessità, sulla stessa plaza de Mayo in cui s’affaccia la sua Casa Rosada, la Cattedrale metropolitana che fu la chiesa di papa Francisco ha vuotato dei banchi la navata centrale per allestirvi una mensa popolare aperta a tutti.


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