Ne La Dolce Vita Anouk Aimée era Maddalena, l’amante trasgressiva di Marcello, e in 8 ½ era la moglie di Guido, Luisa, addirittura la personificazione stessa di Giulietta Masina. I due film forse più celebri e osannati di Federico Fellini, hanno avuto lei al centro, indimenticabile.
Di una bellezza leggermente androgina ma femminile al massimo grado, Anouk era attrice di istinto, di pancia, capace di calarsi nel personaggio fino a fagocitarlo. Senza farsi fagocitare. Ammettendo, evitando pose da diva o astrusi intellettualismi, che era stata La dolce vita e rivelarle la sua vera natura di attrice. La ricordo ancora, seduta al tavolo di un bistrôt di Montmartre, nel momento in cui si toglieva gli occhiali da sole iperprotettivi per ‘consegnarsi’ sorridente all’obiettivo della macchina da presa, e sembrava che facesse le fusa; aveva assunto all’improvviso atteggiamenti felini, da gatto domestico assuefatto alle carezze, seducente al primo apparire.
La attendevo con qualche trepidazione – verrà o non verrà? – e le ero andato incontro vedendola scendere a piedi da Pigalle, con falcate elastiche, per raggiungere il locale in cui le avevamo dato appuntamento. Stavo realizzando, con l’organizzazione di Massimo Cristaldi, un lungo film di testimonianze sui protagonisti di Fellini, cioè gli interpreti più noti dei suoi capolavori. Anouk non poteva in quei giorni assentarsi da Parigi per venire a Roma ed eravamo stati ben lieti di raggiungerla noi, armi e bagagli. Per me, per l’intera troupe, lei era un mito, una creatura di celluloide che non ci si illude di poterla mai fronteggiare in carne e ossa. Notoriamente capricciosa, in quel caso non aveva fatto storie, ma era chiaro che aveva accettato soltanto per amore di Federico; fuori dal set era una persona molto schiva, ritirata, per nulla plateale, non amava mettersi in mostra. Viveva da sola, ci aveva spiegato, con tanti gatti amorosi, ma a quel tempo compagna di Emanuel Ungaro, il famoso stilista italo francese che aveva segnato l’alta moda dell’epoca. Snella, affabile, sorridente, non si era per nulla stupita di vedere il locale trasformato in un set, con le lampade sugli stativi e la macchina da presa già piazzata. Si era seduta come per un appuntamento galante, e un’aura romantica che credo le fosse congeniale. Alla prima domanda, dunque, con un gesto di charme, s’era sfilata gli occhiali da sole per mostrare gli occhi, come era opportuno per una buona ripresa, e con quattro aggettivi ci aveva fatto rivivere in un attimo il clima estatico della Dolce Vita:
“Eravamo tutti felici, Federico aveva sempre un complimento per ognuna di noi, recitare sembrava facile, spontaneo, ogni tensione dissolta in quella specie di allegra carovana che si spostava ogni giorno da un luogo all’altro, senza una meta.”
Per la cronaca il vero nome della Aimée era Nicole Françoise Florence Dreyfus, figlia d’arte, essendo entrambi i genitori attori di cinema e di teatro. Era nata a Parigi il 27 aprile del 1932 ed è scomparsa nella sua città lunedì 18 giugno 2024, alla rispettabile età di 92 anni. Aveva esordito a soli quindici anni.
La sua fama era legata a doppio filo ai due intramontabili capolavori di Fellini e alla struggente storia d’amore diretta da Claude Lelouch, Un uomo, una donna, del 1966, Grand Prix per il miglior film al 19° Festival di Cannes. Era seguita una lunga teoria di successi e ancora un manipolo di registi italiani nel suo destino, da Bellocchio a Bertolucci, da De Sica a Lattuada.
La dolce vita aveva rappresentato il miracolo della sua vita; catapultata in una storia intrisa di innominabili peccati che il personaggio di Mastroianni, Marcello, riusciva a farci assaporare con persuasiva intensità; giornalista mondano di cronaca rosa, un gattone vagabondo in giro fino all’alba per le strade di Roma, la Capitale famelica e sensuale già dalla sua immagine originaria, di quella Lupa che la simboleggia con le zinne spremute da Romolo e Remo.
“La vita è dolce nonostante tutto” asseriva l’artista visionario, che ce ne inebriava da quando s’era fatto adottare dalla dea Roma, e adesso finalmente la mostrava tenendola tra le braccia, spogliata e impudica per la golosità del mondo intero.
Quando mai s’era vista una ricca figlia di palazzinari (Anouk Aimée appunto) altera e viziosa che per capriccio vuol fare l’amore sul letto di una prostituta di strada! Guidando una Buick scoperta, vasta e beccheggiante come un transatlantico, Maddalena trascina Marcello, suo amante occasionale, in un miserabile quartierino di borgata, con le tubazioni che perdono e le assi per camminare senza bagnanrsi sopra il pavimento di cemento, allagato. Maddalena (peccatrice già nel nome) si sfila dai piedi i sandali delicati col tacco a spillo, un brivido di lussuria a cui si abbandona tra lenzuola profane e profanate, fino alle prime luci del giorno che avvolgono la Capitale in un livido sudario. La vita dolce che stilla il suo miele anche sugli interpreti della finzione, tutti a bordo dello zatterone che non approdava mai: “Oggi qua, domani là – raccontava Mastroianni trasognato – senza una meta, senza nessuna voglia che il film finisse.”
Dalla mia intervista filmata, realizzata esattamente quaranta anni fa, trascrivo letteralmente le confidenze inedite e musicalmente francesi di Anouk nel bistrôt di Pigalle:
“Quando ho lavorato con Federico, è lì dove ho capito che mi piaceva fare l’attrice. Perché fare un film di Federico non è fare l’attrice, è un modo di vivere. La prima volta, il primo giorno che ho lavorato nella Dolce Vita, giravo una scena con Magali (Noël), Marcello (Mastroianni) e il padre (Annibale Ninchi); era una esperienza per me incomprensibile, in cui io dicevo, non capirò mai quello che vuole Federico, non capisco… Io ero persa! E non ho più girato per molti giorni. Che posso aggiungere, lui era un mago, così la scena dopo, che ho dovuto fare, semplicemente ho vissuto con loro: sono arrivata per la scena ed ero, come si dice, soggiogata da lui, enchanté, come succede con un mago, proprio in preda a un incantesimo”.
Poi Anouk parla del film successivo, il film dei film, in cui Federico la convoca per interpretare la moglie del protagonista (cioè la propria moglie):
“Sai com’è con Federico, in 8 ½, La Dolce Vita, c’erano tante donne, tante donne… Ma tutto è andato benissimo, voglio dire non c’era gelosia, o competizione, nulla, tutto andava bene, tutte erano contente, questo trucco è bene, ah, i capelli, come sono belli, tutto era così perfetto perché c’era lui. Questo è Federico, questa è la sua maniera straordinaria: è un mago, credimi, è un mago”.
Il ruolo era tutt’altro che semplice. Proprio in quel periodo aveva iniziato a incrinarsi seriamente il rapporto tra Giulietta e Federico, come viene sfacciatamente raccontato, quasi nei minimi dettagli, in 8 e ½. La coppia interprete della trama, Guido e Luisa, è arrivata a un punto di rottura, senz’altra prospettiva di separarsi, di lasciarsi definitivamente. Nella vita reale la coppia sembrava ormai avviata a una decisione irrevocabile.
Giulietta, per estrema onestà, aveva persino rifiutato un film di Michelangelo Antonioni, La Notte, storia di tradimenti incrociati tra due coniugi. Temeva di interferire con il successo della Dolce Vita, un film da cui “il marito l’aveva esclusa”.
Nel capolavoro del 1963, poco prima della passerella finale, quando il protagonista, pensa che tutto sia crollato intorno a lui, irrecuperabilmente, tutto perduto, finito, e in una visione a occhi aperti giunge ad immaginare addirittura di farla finita sparandosi un colpo alla tempia; ebbene nella scena immediatamente successiva lo sorprendiamo seduto cogitabondo al volante della sua auto ferma: è stato trafitto, mormora in un monologo, da un improvviso “lampo di felicità”, per il sollievo di avere finalmente compreso la ragione del proprio oscuro malessere. Parlando a sé stesso, si rivolge contemporaneamente anche alla moglie Luisa (Anouk), che silenziosa l’ha raggiunto accanto al finestrino e in piedi, immobile, ne ascolta le parole turbata e commossa:
“Ma questa confusione sono io, io come sono non come vorrei essere, e non mi fa più paura; dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato, solo così mi sento vivo e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita, viviamola insieme.”
E Luisa dopo averlo ascoltato visibilmente scossa, si rivolge a lui con queste parole:
“Non so se quello che tu dici è giusto, ma se mi aiuti posso provare”.
Andate a rivedere anche soltanto questa scena, ad ascoltare anche soltanto questo dialogo e capirete che attrice di grazia assoluta sia stata Anouk Aimée. Una medium.
Federico ha girato con lei la più bella dichiarazione d’amore tra moglie e marito che sia mai stata realizzata nella storia del cinema.
Infatti a quel punto preciso, con una capriola da trapezista, il regista ritrova d’incanto la propria ispirazione, la propria vocazione, esce dall’auto, raccoglie il megafono abbandonato su una sedia e comincia a impartire ordini: dalla rampa di lancio costruita per il film in preparazione tutti i personaggi del racconto, centinaia di attori e figuranti, iniziano a scendere in un eccitato corteo, e seguendo un bambinello in frak bianco da mazziere, si avviano verso la passerella, una pista da circo, su cui salgono anche Guido e Luisa tenendosi per mano: la realtà e la finzione si fondono in un unico racconto, la conciliazione è di nuovo raggiunta nell’armonia dell’arte.
“La felicità consiste nel poter dire la verità senza far mai soffrire nessuno”.
Passano soltanto tre anni e Anouk Aimée, lanciata da Fellini, diventa una delle dive più amate della galassia cinematografica; accanto a Jean-Louis Trintignant interpreta Un uomo, una donna di Claude Lelouch. È 1966, un successo travolgente, mondiale, che le spalanca le porte di quel firmamento di celluloide in cui la sua stella non cesserà mai di risplendere.