Ci sono state cento voci (forse anche di più) al Festival di Giornalismo di Ronchi dei Legionari e ognuna ha dato qualcosa all’informazione e tolto molto a chi non vuole voci libere. Però lo spirito dell’evento è, probabilmente, riassunto nel saluto di Barbara Schiavulli alla serata finale, domenica in un degli ultimi appuntamenti. E’ lei, una delle anime di questo festival, a ripercorrere le tracce e il motivo per il quale è nato, immaginando il pensiero primordiale dentro un dialogo possibile in una qualche giornata di dieci anni fa tra Luca Perrino e Cristina Vicentini, due giornalisti amici che hanno sognato e poi attuato il Festival. Cristina, solo fisicamente, non c’è più ma è rimasta nello spirito dell’iniziativa, che in questa edizione ha compiuto dieci anni e portato a casa un gran successo di pubblico, con decine di giornalisti che si sono confrontati, alternati e ascoltati su temi di attualità scottante, italiana ed estera, dalla mafia all’ambiente, alle guerre più note ma anche a quelle dimenticate, passando per la violenza di genere e la sua narrazione. Se un vocabolo potesse essere scelto per rappresentare lo spirito del Festival di Ronchi allora sarebbe “resistenza”. Lo ha utilizzato Sigfrido Ranucci per indicare i motivi per i quali continua a fare il proprio mestiere nonostante querele e dossieraggi; e lo ha utilizzato Mimmo Rubio per spiegare come mai resta a fare il cronista di nera ad Arzano dopo che i camorristi gli hanno sparato bombe sotto casa e continuano a minacciarlo; lo hanno utilizzato i genitori di Andrea Rocchelli per argomentare la loro battaglia volta ad avere giustizia sulla morte del figlio, perché la verità la si conosce già. La resistenza è negli occhi di Giulia Micheluzzi. La vicepresidente dell’associazione Leali delle Notizie, che ha ideato e porta avanti il Festival è il braccio operativo dell’organizzazione e nelle ultime ore dell’evento mette in campo energia e idee perché questo piccolo gioiello di dibattito culturale faccia bene al Paese, al giornalismo e ai cittadini che hanno diritto ad essere informati. Resistere in un’Italia che non ama i giornalisti e boicotta il giornalismo d’inchiesta non è scontato né semplice. In un piccolo centro di 12mila abitanti si può imparare come resistere. E perché.