L’atto di barbarie di cui è rimasto vittima il povero Satman Singh, bracciante indiano di soli 31 anni che lavorava in condizione di semi schiavitù nell’agro pontino dovrebbe spingere tutti noi ad una riflessione più ampia, non solo sulla situazione politica che sta vivendo il nostro Paese. Anche se non si può e non si deve separare questa dall’abbrutimento etico che possiamo verificare quotidianamente.
E ancora una volta, se riusciamo a conoscere realtà mostruose, lo dobbiamo solo al coraggio di cittadini impegnati. Nel caso della morte di Satman il merito va a Laura Hardeep Kaur, segretaria della Flai Cgil di Latina, il cui ruolo decisivo nel far conoscere la tragedia del bracciante indiano e della sua famiglia è stato raccontato con emozione e partecipazione nel nostro sito da Graziella Di Mambro. E da quel racconto ci si rende conto di quante verità resterebbero nascoste per colpa delle leggi bavaglio. Il primo interrogativo conseguente è: ma quale spirito umanitario, quale senso di solidarietà e sensibilità possono spingere un uomo ad abbandonare per strada un suo simile che rimane mutilato sul lavoro lasciando accanto al corpo, in una cassetta di verdura, l’arto monco? E come si può accettare, senza una reazione forte, partecipata, che ancor oggi, a decine, i disperati che cercano di raggiungere l’Europa muoiano in mare e con loro decine di bambini, donne, anziani?
Cos’è accaduto e cosa sta accadendo agli ‘italiani brava gente’? Perché tanta indifferenza, perché accettazione passiva delle violenze quotidiane anche tra ragazzini e ragazzine? O convincersi che siano ‘risse’ le aggressioni che sempre più frequentemente i fascisti commettono ai danni di studenti democratici? Certo, l’esempio più clamoroso viene dall’alto, quando la Presidente del Consiglio, invece di condannare i suoi – gli aggressori -, se l’è presa, definendola ‘provocazione’, la scelta del deputato Donno di mostrare il tricolore al ministro Calderoli. Se quella non è stata aggressione, figuriamoci quella dei discepoli della leader.
E che dire di quei parlamentari eletti nelle regioni meridionali che per fedeltà al partito e alla poltrona tradiscono i loro territori per votare quell’infame legge di autonomia differenziata che renderà sempre più poveri i cittadini del sud?
Non c’è più rispetto nemmeno per gli uomini più amati della storia di questo povero Paese alla deriva, come è accaduto e accade con i ripetuti atti di vandalismo contro la tomba di Enrico Berlinguer. E dove sono finiti quegli italiani che si informavano e si formavano convinti di ‘L’ha detto la Rai’? Cosa pensano della principale industria culturale del Paese ridotta prevalentemente a strumento organico di propaganda del governo, della sua presidente in particolare, e della maggioranza? Non hanno nulla da chiedere e da obiettare contro le vere e proprie epurazioni condotte da lunghi mesi visto che ancora dovrebbero essere i principali destinatari – con le loro più variegate convinzioni – di quel bellissimo e complicato lavoro?
Di fronte a tutto questo, come si fa ad attribuire all’astensionismo una funzione di protesta? A me sembra piuttosto una pericolosissima assuefazione, abituarsi all’indifferenza, al ‘tanto non cambia nulla’.
Altro che se non sta cambiando tutto nella nostra povera Italia. Innanzi tutto l’attacco alla Costituzione, che invece di essere fatta conoscere, diffusa, applicata come il principale strumento di tutela dei cittadini, viene attaccata come se fosse un viscido strumento comunista. Non servirà una ‘moral suasion’, visto che non la fa neppure l’unico che potrebbe ottenere positivi risultati come il Presidente Mattarella. Servirebbe una forte scossa etica.
E allora. Quando è che gli intellettuali, i giornalisti più impegnati condivideranno la strada scelta fin dal suo atto di fondazione da Articolo 21? La strada è quella che in nome della morale e dell’equità, prima ancora che della politica, non si può e non si deve derogare in alcun modo ai dettami della Carta Costituzionale, scritta per l’uguaglianza nei diritti e nei doveri di tutti i cittadini e contro qualunque forma di autoritarismo nel nome di un antifascismo che diventa sempre più urgente riaffermare.