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Lo “scambio di favori” in Europa non copre l’illegittimità delle nomine Rai

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La presidente della Commissione Europea von der Leyen avrebbe censurato il report della commissione che dirige per evitare che le critiche sulla libertà di stampa in Italia turbassero la campagna elettorale di Giorgia Meloni. Lo scoop dell’autorevole giornalista francese Clothilde Goujard sta provocando un caso a livello internazionale. Si parla apertamente di un possibile scambio di favori in previsione dell’eventuale ingresso di Fratelli d’Italia nella coalizione che formerà il governo dell’Unione Europea. Sono tempestivamente intervenute le organizzazioni rappresentative dei giornalisti: Reporters sans Frontières,  la Federazione della stampa italiana,  Media Freedom Rapid Response e l’Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa che tra l’altro ha esortato “le autorità italiane a riformare la legislazione sulle emittenti pubbliche”.

Prendiamo spunto da questa sollecitazione per annunciare che Articolo 21, il Slc-Cgil e le altre associazioni che hanno promosso il ricorso al TAR contro gli attuali criteri di nomina del CdA Rai, hanno indetto una conferenza stampa il 20 giugno alle ore 13 nella sala stampa della Camera dei Deputati per illustrare l’istanza cautelare di sospensione dell’elezione dei Consiglieri d’amministrazione della Rai da parte della Camera dei Deputati. L’istanza, presentata al Consiglio di Stato, è stata redatta da costituzionalisti e avvocati esperti di diritto amministrativo con il coordinamento del prof. Roberto Zaccaria. Com’è noto, il TAR aveva ritenuto le motivazioni dei ricorrenti degne di ulteriore esame e approfondimento, e ha fissato un’udienza pubblica il 23 ottobre per discuterne il merito.

La “legge Renzi” del 2015 è palesemente in contrasto con la sentenza n. 225/1974 della Corte costituzionale in cui si afferma che “gli organi direttivi del Servizio pubblico non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo”. Inoltre, la nomina del CdA della RAI, disciplinata dall’art. 63 del Tusma, non prevede una commissione giudicante nominata con criteri trasparenti tali da garantirne l’obiettività né criteri di valutazione della competenza dei candidati. Questo eccesso di discrezionalità risulta ancora più insostenibile dopo l’entrata in vigore del Regolamento europeo sulla libertà dei media (MFA) che, nell’art. 5, impone espressamente che i componenti degli organi amministrativi dei gestori dei servizi pubblici radiotelevisivi siano scelti con procedure e criteri trasparenti, non discriminatori e oggettivi.

Certo, c’è da stupirsi che in otto anni nessun partito presente in Parlamento si sia dato da fare per ottenere una pronuncia della Consulta sulla incostituzionalità della legge Renzi, ma ancora più sorprendente è il documento presentato dal rappresentante del Governo italiano, Terzi di Sant’Agata, nella Commissione Quarta del Senato e a Bruxelles, a commento dell’MFA. Il Governo, infatti, declassa il “Regolamento europeo sulla libertà dei media” a un provvedimento di “armonizzazione minima”, una gradazione – quella tra minima e massima armonizzazione – che è propria delle Direttive e non dei Regolamenti che, per loro natura, essendo autoapplicativi,  non consentono agli Stati membri alcuna discrezionalità, tanto più quando si tratta di tutelare una pietra angolare della democrazia come la libertà di informazione.

Nel caso specifico, poiché l’articolo 5 del MFA prescrive modalità concrete e dettagliate per l’attuazione dei criteri di trasparenza e non discriminazione nelle nomine, è obbligatorio adottare, nei rispettivi ordinamenti nazionali, sia il livello minimo che quello massimo di protezione indicato dal Regolamento che, entrando in vigore, sostituisce le norme contrastanti. Al contrario, il Governo non solo riduce il Regolamento a una norma complementare, quindi da affiancare a quella nazionale senza sostituirla, ma si spinge fino a sostenere che la normativa attuale offra una tutela più avanzata rispetto a quella prevista dall’MFA. Eppure, basterebbe consultare le classifiche di organismi internazionali sui paesi che meglio tutelano la libertà di informazione e il pluralismo, per  scoprire che l’Italia occupa un indecoroso 46º posto: un risultato che dobbiamo anche alla legge che consente al Governo di nominare il Presidente e l’Amministratore Delegato in un CdA dominato dalla maggioranza politica. Ciò nonostante, il Governo assicura che la legge sulla nomina dei consiglieri di amministrazione del servizio pubblico è conforme alle normative europee e, pertanto, non pensa minimamente di mettere in discussione criteri di nomina che si basano su parametri soggettivi e difficilmente verificabili come il prestigio, la notorietà e l’autorevolezza dei candidati.

L’atteggiamento tetragono del Governo conferma le indiscrezioni sulla dilazione del report europeo sulla libertà di stampa in Italia e  lascia presagire che non vi sarà nessuna apertura nei riguardi del MFA neanche dopo la sua vincolante entrata in vigore. L’appello al Consiglio di Stato è, pertanto, un motivo in più per sottolineare l’urgenza democratica di sottrarre la RAI alla completa dipendenza dall’esecutivo sia in termini giuridici che finanziari.

 


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