Forse non tutte le “sorelle”-donne-mamme d’Italia sono uguali davanti al sacro tribunale dei social. Succede che Ilaria Salis ottenga il diritto di tornare in Italia e che lo faccia da Parlamentare europea legittimamente eletta. E succede che una sua collega parlamentare italiana, Ilaria Cucchi, scriva un post cordiale e appassionato al tempo stesso, di empatia anche. E succede che nel giro di pochissimo entrambe vengano letteralmente sommerse di insulti. Tipo (rivolto a Cucchi): “Ha parlato la più grande opportunista, approfittando della disgrazia del fratello. È ovvio che sia dalla parte dei delinquenti”. Oppure (rivolto a Salis): “Far eleggere una criminale per darle l‘immunità è proprio la perfetta definizione di civiltà”. A parte la scelta codarda di scrivere una simile sequela di insulti con lo scudo di account schermati da nomi di fantasia, si potrebbero sottolineare molti aspetti di quanto sta avvenendo in termini di accoglienza di una cittadina italiana detenuta per mesi in attesa di processo in un altro Paese e in condizioni che violano una lunga serie di diritti civili. Si potrebbe far notare che si sta insultando una donna per il suo antifascismo. In fondo Ilaria Salis il giorno in cui avrebbe commesso i fatti che le contesta il Tribunale di Budapest stava protestando contro i neonazisti che, in teoria, sarebbero banditi dalle democrazie europee, visto quello che hanno combinato 80 anni fa in Europa. I post hanno, curiosamente, lo stesso tenore di quelli che hanno accompagnato l’esito del processo Cucchi, dove è stata dimostrata la tortura di Stato. Circa Ilaria Salis, è semplicemente un’imputata che, peraltro, sta chiedendo giustizia in un processo e non attaccando il processo come fanno molti altri illustri italiani indagati e imputati (o persino condannati in un grado di giudizio). La presunzione d’innocenza vale anche per Ilaria Salis o solo per presidenti di Regione, assessori e ministri? Gli autori degli insulti social, opportunamente anonimi, non se lo sono chiesti.