Sono veri e propri bollettini di guerra ma in questo caso le armi tacciono. A seminare morte, terrore, povertà e malattie sono le infernali alluvioni che flagellano l’Africa orientale. Dopo un periodo di devastante siccità, il Kenya è stato colpito (e affondato) da piogge torrenziali che hanno causato complessivamente 230 vittime. L’incidente più grave nella Rift Valley dove un villaggio è stato sommerso da un oceano di acqua, detriti e fango per il cedimento di una diga. Mentre altre 200 dighe sono a rischio: vere e proprie spade di Damocle che pendono sulla testa di inermi cittadini. In 213 mila sono stati costretti a lasciare le loro case. Scuole ed attività economiche paralizzate, turismo, agricoltura e pastorizia in tilt. A pagare il prezzo più alto sono stati gli abitanti degli slums di Nairobi, privi di servizi igienici ed idraulici, e dove le rare costruzioni sono edificate in cartapesta. Ora si teme il peggio per quanti sono rimasti senza alloggi per la diffusione di malattie come colera e diarrea portate dall’acqua infetta. Tutto ciò è anche il prezzo di dissennate politiche abitative, così come di una mancanza di piani per fronteggiare questa prevedibile emergenza.
In Burundi il maltempo ha lasciato 96 mila persone senza casa. I prezzi di cibo e generi di prima necessità sono schizzati alle stelle per gli alti costi del trasporto merci possibile solo su canoe. Il costo degli affitti fuori dalla capitale Bujumbura sono raddoppiati rendendo impossibile il trasloco alle famiglie costrette a restare nelle case allagate e pericolanti. Ma le inondazioni hanno colpito duramente anche la Tanzania dove sono si registrano 155 morti e la Somalia, particolarmente ferita in cinque regioni meridionali con 46 mila sfollati interni.
Sono gli effetti tangibili del cambiamento climatico. In Africa corre più veloce che in altre parti del mondo rendendo non più vivibili regioni particolarmente vulnerabili specialmente in Africa orientale e nel Corno d’Africa. Lunghi periodi di siccità cedono il passo ad alluvioni devastanti, gli incendi si alternano alle tempeste. Per gli esperti questi fenomeni diventeranno irreversibili, anzi peggioreranno con il passare del tempo. Mancano i mezzi per far fronte alle necessità immediate delle popolazioni colpite, costrette a spostarsi di continuo. Non a caso l’Unhcr (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha lanciato una campagna di raccolta fondi.
Le inondazioni si stanno intensificando per gli effetti combinati di El Ninò (ovvero del forte riscaldamento degli oceani) e delle piogge in corso da marzo, a cui si aggiunge una ulteriore fluttuazione climatica che ha origine nell’oceano Indiano lungo la costa dell’Africa orientale. A questa miscela di eventi climatici si aggiunge il riscaldamento globale causato dall’uomo che incide sulle intense piogge poiché l’aria calda tende a trattenere più umidità. C’è poi da mettere in conto l’impatto dell’acqua piovana su terreni resi molto duri e asciutti da lunghi periodi di catastrofica siccità (generata dall’inquinamento dei combustibili fossili che surriscalda il pianeta): la terra non dà frutti, nessun raccolto e niente cibo per il bestiame.
Il cambiamento climatico genera dunque povertà, minacciando la sopravvivenza. Il continente africano ospita il 17 per cento della popolazione mondiale e contribuisce con appena il 4 per cento alle emissioni globali di gas serra. Ma – secondo le Nazioni Unite – è colpito più di altre parti del mondo dagli effetti che l’inquinamento produce in relazione al riscaldamento termico ed ai disastri naturali. L’Onu stima che l’Africa perda dai 7 ai 15 miliardi di dollari all’anno a causa dei cambiamenti climatici. E’ una corsa contro il tempo, dove già emergono i primi conflitti per il controllo delle risorse che alimentano l’instabilità politica. Una delle proposte emerse dai summit delle nazioni africane è un accordo globale sulla riduzione del debito per aiutare gli stati a combattere gli effetti del cambiamento climatico. La transizione energetica prospettata dai paesi ricchi non convince molti governi secondo cui le mancate compensazioni da parte dei paesi più inquinanti stanno mettendo in discussione lo sviluppo di infrastrutture essenziali per produrre energia pulita. Per ora ci troviamo di fronte ad un serpente che si morde la coda. Ma bisogna sciogliere i nodi al più presto perché il tempo è poco.
Tratto dalla rivista mensile CONFRONTI n.6 giugno 2024