Il G7 in Puglia scatena la corsa al riarmo

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Molto di più che nel 2001, oggi è necessaria una contestazione pubblica, pacifica e non violenta che faccia emergere l’inaccettabilità delle scelte del G7 e l’urgenza di un cambiamento di rotta.

Ogni anno nei mesi di maggio/giugno/luglio si ripete lo stanco rito del G7, il summit che riunisce i leader di Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti d’America, al quale partecipano come invitati permanenti anche il Presidente del Consiglio europeo e il/la Presidente della Commissione europea. È un rito durante il quale non si decide niente di concreto, si prendono impegni generici che non saranno mai portati a termine su questioni globali di economia, sviluppo sostenibile, sottosviluppo, ambiente etc. Più che altro è diventato una cerimonia di orgoglio dei paesi dell’Occidente collettivo, una sorta di “western pride”. Il G7 viene raccontato sulla stampa come un evento mondano con i leader che si fanno fotografie sorridenti, si scambiano pacche sulle spalle e ci annunciano la visione di un futuro roseo. Ma da alcuni anni l’immagine del futuro si è molto sbiadita.

Quest’anno il G7 si svolgerà in Puglia, a Borgo Egnazia, dal 13 al 15 giugno. La versione gossip dell’evento ce l’ha già fornita Giorgia Meloni: «faremo fare i nodini di mozzarella con le mani ai leader mondiali. Le orecchiette no, che non sono mai riuscita…». Malgrado la tendenza dei politici a istupidire l’opinione pubblica, con l’appoggio entusiasta di direttori di giornali e di reti televisive, il G7 di quest’anno non si presta alle barzellette, si sviluppa sotto un cielo cupo, gravido di tempesta. I leader del G7, non avendo fatto niente negli anni passati per prevenire la guerra in Ucraina, dopo lo scoppio delle ostilità non hanno fatto niente per favorire una composizione politica del conflitto; al contrario si sono comportati come un gabinetto di guerra. Sia il G7 che si è svolto a Krun (Germania) il 26-28 giugno 2022, sia quello che si è svolto a Hiroshima il 19-21 maggio 2023 hanno suonato squilli di tromba, escludendo ogni apertura negoziale e istigando l’Ucraina a “vincere” la guerra con la Russia, grazie al potente sostegno delle armi occidentali. Adesso che inutilmente è stata sacrificata sull’altare del fondamentalismo politico occidentale un’intera generazione di giovani ucraini, mandati al macello in una controffensiva azzardata e folle, nessun segno di resipiscenza è spuntato nella zucca dei leader del G7. La lezione che ne è stata tratta è che bisogna incrementare la corsa agli armamenti, massificare la produzione di munizioni orientando le capacità produttive verso un’economia di guerra: dal welfare al warfare. Grazie a una “soffiata” dell’Ansa adesso sappiamo cosa bolle in pentola. Si sta preparando un imponente piano pluriennale di riarmo di 10.000 miliardi di dollari, secondo i calcoli di Bloomberg Economics. Si tratta del più grande piano di riarmo occidentale dopo la guerra fredda, che dovrebbe far lievitare la spesa militare al 4% del PIL per i paesi europei.

Il G8 di Genova (allora vi partecipava anche la Russia) del 19-22 luglio 2001, diede luogo a una grande mobilitazione di quel popolo che denunciava le storture della globalizzazione e invocava una correzione di rotta alle politiche di liberalizzazione/privatizzazione. Nell’occasione il nuovo Governo Berlusconi-Fini sperimentò delle forme sudamericane di repressione del dissenso che portarono a una sorta di “sospensione della democrazia” in Italia. Quest’anno i progetti che saranno messi sul tavolo al G7 di Puglia si presentano come enormemente più dannosi delle scelte fatte a suo tempo in tema di globalizzazione. Forse per nascondere il volto oscuro delle scelte in agenda, quest’anno la Presidenza italiana ha strumentalmente invitato anche il Papa che siederà al tavolo del dibattito in occasione di una sessione aperta ai Paesi non membri dedicata all’intelligenza artificiale. Ai potenti della terra vorremmo ricordare il discorso del Pontefice sulla follia delle politiche di riarmo (30 marzo 2022): «Io mi sono vergognato quando ho letto che non so, un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali».

In aperta contrapposizione all’invocazione del Pontefice, il G7 punta a consolidare e rilanciare la sfida della forza come criterio guida nelle relazioni internazionali. Dieci mila miliardi di dollari investiti in armi e guerre sono uno scempio, una risposta cinica e crudele ai problemi urgenti dell’umanità intera e pregiudicano irreparabilmente il nostro futuro. Comportano una enorme sottrazione di risorse alla risoluzione delle grandi questioni al centro dell’Agenda ONU 2030, che rischia di rimanere inattuata, rimandando ulteriormente i grandi obiettivi di giustizia e sostenibilità sociale e ambientale concordati fra tutte le nazioni. Sono un furto di futuro per le giovani generazioni che vedranno oscurato l’orizzonte della loro vita, calata in un mondo dove l’architettura della violenza dominerà la vita dei popoli.

Queste scelte disastrose non possono passare sotto silenzio. Molto di più che nel 2001, oggi è necessaria una contestazione pubblica, pacifica e non violenta che faccia emergere l’inaccettabilità delle scelte del G7 e l’urgenza di un cambiamento di rotta. È successo, invece, che le possibili voci di dissenso siano state cooptate nel cosiddetto C7, un organismo che dovrebbe portare dentro il G7 la voce della società civile di tutto il mondo elaborando un documento di “dialogo costruttivo” da consegnare alla Meloni e al Governo italiano quale governo ospitante del G7. Attraverso questo finto dialogo si cerca di smorzare ogni opposizione e soffocare la domanda di una svolta che ci porti fuori da questo sistema di dominio e guerra. In realtà noi non abbiamo bisogno di un finto “dialogo costruttivo”, ma di una reale “opposizione costruttiva”.

I comitati per la pace e le associazioni pugliesi stanno preparando un Controforum al G7 con un appello: «La nostra Puglia, “arca di pace, non arco di guerra” tra popoli». Sosteniamoli, ma non possiamo fermarci qui, le principali forze politiche, i sindacati battano un colpo.

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