Il Comitato Sapienza per la Palestina risponde alla Rettrice

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La protesta nelle università contro quanto accade a Gaza non è scomparsa. È stata silenziata. Ne è un esempio quanto accaduto in queste ultime settimane a Roma.

Lo scorso 11 giugno, con una lettera inviata alla “Comunità Sapienza”, la rettrice Antonella Polimeni ha pesantemente attaccato le recenti manifestazioni contro i bombardamenti israeliani e le stragi a Gaza e contro gli accordi di collaborazione con Israele, senza mai nominarli. Ha accusato tutta la  protesta di “vandalismo” e di offese, denunciando danni per oltre 330 mila euro e arrivando a dichiarare illegittimo qualsiasi dissenso dal governo dell’ateneo più grande d’Europa. Un testo molto ripreso dai media nazionali. Mentre quasi nessuno spazio ha avuto la Risposta da parte del Comitato Sapienza per la Palestina, una comunità non solo di studenti, che non ha nulla a che fare con vandalismi e offese, ma che si è visto negare spazio sul sito pubblico dell’ateneo ed è stato ignorato dall’informazione, salvo poche eccezioni virtuose. Articolo 21 ha scelto di dare spazio a questo “dissenso illegittimo” peraltro pacifico, pubblicando integralmente la Risposta alla Rettrice , e invitando i media democratici a darne conto. Dedicheremo uno spazio nella nostra assemblea dell’8 luglio a questa voce democratica dell’università.

Risposta alla “Lettera della Rettrice alla comunità Sapienza” dell’11 giugno 2024

Come Comitato Sapienza per la Palestina, ci sentiamo in dovere di replicare alla lettera della Rettrice inviata alla comunità Sapienza l’11 giugno 2024, e prontamente diffusa dai media locali e nazionali. La lettera, se da un lato comprensibilmente condanna una serie di atti contro il bene pubblico certamente meritevoli di censura, dall’altro si serve di tale condanna per criminalizzare qualunque forma di dissenso interno all’Ateneo. Il testo, infatti, mescola indistintamente episodi e fatti senza distinguerne la natura, il contesto e gli autori, e non solo include nell’elenco degli atti vandalici anche eventi che non hanno avuto conseguenze dannose né possono in alcun modo essere considerati “violenti”, ma arriva a dichiarare “illegittima” e “non pacifica” qualsiasi critica nei confronti del governo dell’ateneo. Un esempio di questa strategia discorsiva è il riferimento, in coda a un elenco di episodi di “imbarbarimento” e “violenza vandalica”, a una “occupazione” della Facoltà di Lettere, che non ha provocato nessun danno a persone o cose, e che è consistita in un atto puramente simbolico, al di là del giudizio politico che se ne voglia dare.

In questo la lettera ripropone la stessa tecnica narrativa del video sugli “atti vandalici” mostrato in apertura dell’ultimo Senato accademico, che monta immagini di graffiti e imbrattamenti (da condannare) accanto a scritte su lenzuoli di carta o di stoffa, che non sono in alcun modo classificabili come atti vandalici ma sono invece manifestazioni di dissenso e comunicazione politica del tutto normali. Da questo punto di vista ci sembra sintomatico che né il video né la lettera della Rettrice, né tantomeno il documento firmato dai presidi e i direttori dell’Ateneo, contengano alcun riferimento al danneggiamento della targa posta sull’edificio di Fisica in memoria di Sufyan Tayeh, Rettore dell’Università islamica di Gaza, ucciso dai bombardamenti israeliani, né alle scritte inneggianti a Israele, opera di un manipolo di individui “incappucciati”, a testimonianza del fatto che non tutti gli “incappucciati” e i graffitari sono evidentemente da considerarsi come egualmente esecrabili.

Ma quel che più preoccupa, nella lettera della Rettrice, è la seguente affermazione: “il 16 Aprile, dopo una lunga discussione, il Senato accademico e il Consiglio di amministrazione della Sapienza, riuniti in seduta congiunta, hanno discusso e approvato all’unanimità un documento sui temi della pace e della libertà di ricerca. Sfortunatamente, le azioni condotte per esprimere la critica alle posizioni espresse dagli Organi Collegiali non sono state né legittime né pacifiche”. La frase che abbiamo evidenziato ci pare molto grave, perché dice esplicitamente che TUTTE le azioni condotte per criticare il documento sono state illegittime e non pacifiche, il che non corrisponde al vero. La stragrande maggioranza delle “azioni condotte per esprimere la critica alle posizioni espresse dagli Organi Collegiali” sono state pienamente legittime e del tutto pacifiche, non volte a danneggiare l’incolumità delle persone né l’integrità degli edifici della Città universitaria. Tra i mezzi usati per esprimere il dissenso ci sono stati, infatti, cortei pacifici, l’organizzazione di dibattiti e conferenze, accampamenti (come nelle università di mezzo mondo) e sit-in. Ma, soprattutto, documenti scritti, prodotti tanto da studenti quanto da docenti, che in nessun modo possono essere qualificati come espressioni di critica illegittima e non pacifica. Alcuni di questi documenti—a cominciare dal documento elaborato dal Comitato Sapienza per la Palestina in risposta al documento del Senato del 16 aprile—sono stati inviati anche alla Rettrice, la quale non poteva dunque ignorare come il dissenso si sia spesso manifestato in maniera legittima, corretta, e in linea con le procedure del dibattito democratico.

La lettera della Rettrice si chiude con l’auspicio che tutta la comunità Sapienza voglia condividere “lo sdegno e la ferma condanna degli atti violenti e distruttivi, che nulla hanno a che fare con l’espressione della pluralità delle idee, il dissenso e la pacifica protesta per i conflitti in atto in diversi luoghi del mondo, né tantomeno con il confronto critico, ma necessariamente democratico e basato sul metodo scientifico, che può e deve realizzarsi nell’Università”. Or bene, ci sembra che perché questo auspicio si realizzi sia necessario saper distinguere nettamente tra “atti violenti e distruttivi” e “il dissenso e la pacifica protesta”, ma è proprio questo che la lettera non fa, perché non cita un solo esempio di critica da considerarsi “legittima” e “pacifica” (quando sarebbe stato assai semplice farlo) e vuol invece dare l’impressione che il dissenso e la pacifica protesta siano semplicemente inesistenti nel nostro Ateneo. Questa ci sembra un’accusa gratuita, infondata e irricevibile.
Ci chiediamo, poi, come sia possibile un confronto “necessariamente democratico e basato sul metodo scientifico” se il confronto si articola esclusivamente sull’interazione tra rappresentanze ed esclude le istanze che emergono spontaneamente dalla comunità accademica (non solo studenti, dunque, ma anche docenti, i quali sono sicuramente in grado di sostenere un confronto critico “basato sul metodo scientifico” e ne hanno dato dimostrazione con una stringente lettura critica del documento del Senato del 16 aprile). Limitare il dibattito ai livelli istituzionali ci pare solo apparentemente democratico e molto simile invece a quella che Eduardo Galeano e molti altri hanno definito “democratura”, ossia la coesistenza tra il rispetto delle regole formali della democrazia e un sostanziale autoritarismo. Esageriamo? Non ci pare. In base a quali regole democratiche viene concesso, ad esempio, al collega Diliberto il sito web come tribuna politica? (il suo messaggio alla comunità Sapienza non parla di questioni accademiche ma di faccende squisitamente politiche). Perché la Rettrice non ha voluto pubblicare la risposta del Comitato Sapienza per la Palestina al messaggio di Diliberto? È così che intende promuovere il dibattito democratico? Perché la Sapienza non consente la creazione di uno spazio condiviso sul suo sito, dove sia possibile partecipare in modo civile, ma critico, al dibattito sulle questioni emerse in questi mesi?

Lo ribadiamo: non giustifichiamo in alcun modo la deturpazione del bene pubblico, e siamo d’accordo – anche per rispetto nei confronti dei lavoratori addetti alla manutenzione dell’ateneo, giustamente menzionati nella lettera della Rettrice – nel condannare ogni atto vandalico, da chiunque sia commesso. Non possiamo però non osservare che, come recita l’art. 27 della Costituzione, la responsabilità penale è individuale. Chi ha commesso questi atti ha commesso un reato, ma non è possibile attribuire, collettivamente e indistintamente, a un intero movimento di protesta tali comportamenti. Inoltre, che in una lettera dove si stigmatizza una “volontà distruttrice” di cui sono responsabili poche persone, si riesca a non dire una sola parola su tutto quello che sta a monte degli eventi degli ultimi mesi, è francamente sorprendente. I danni subiti dall’Ateneo sono gravi, ma l’uso che se ne fa per attaccare un intero movimento di protesta non può che ingenerare il dubbio che sia molto più facile parlare di graffiti, piante divelte e danni al travertino che dire UNA SOLA PAROLA sul luogo dove le 12 università che esistevano sono ridotte a un cumulo di macerie e oltre 200 accademici e 5000 studenti sono stati uccisi per mano di uno stato che può ora vantare, oltre al fatto di essere inquisito per il reato di genocidio dalla International Court of Justice, anche l’inclusione nella lista nera dell’ONU per l’uccisione e il ferimento di bambini nel corso di attacchi a scuole, ospedali e aree densamente popolate. Senza dimenticare, naturalmente, le accuse documentate dalla stessa ONU di aver commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità nonché la distinzione di essere guidato da figure ritenute criminali di guerra dal procuratore della International Criminal Court. Di queste cose a Sapienza si parla molto, ma il governo dell’università ha il non invidiabile merito di aver scelto di trincerarsi dietro generici appelli alla pace, senza avere mai, in nessuna occasione, espresso una condanna inequivocabile e netta della “barbarie” e del “vandalismo” genocidiario dello stato di Israele.
Comitato Sapienza per la Palestina
Roma, 15/06/2024

 


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