Assange: l’Occidente ritrova se stesso

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Forse, all’ultima curva, nel momento in cui ha visto messa in discussione la sua stessa esistenza, alla vigilia di elezioni americane che, a novembre, potrebbero riportare alla Casa Bianca un personaggio come Trump, l’Occidente ha deciso di ritrovare, almeno in parte, la sua anima. La liberazione di Julian Assange, che ha patteggiato con la giustizia statunitense e abbandonato l’infernale carcere inglese di Belmarsh, dopo oltre cinque anni di martirio, dimostra infatti che non siamo ancora diventati come Putin e bin Salman, nei cui paesi giornalisti liberi e oppositori politici vengono lasciati morire in Siberia in condizioni disumane o smembrati come il povero Jamal Khashoggi.
Non possiamo cantare vittoria: dobbiamo continuare a essere guardinghi e prenderci cura dei tanti piccoli Assange per cui nessuno si è mobilitato con la medesima intensità. Fatto sta, però, che, per una volta, possiamo dire di aver vinto. Non noi semplici attivisti, ma l’intera comunità occidentale, chi ancora crede nei diritti umani, nella libertà d’espressione, nell’informazione al servizio della cittadinanza e nel potere straordinario della politica e della mobilitazione incessante. Se milioni di persone non fossero scese in piazza, per mesi, per anni, oggi Assange probabilmente sarebbe morto e la Salis sarebbe ancora in carcere a Budapest, in condizioni non meno degradanti. Ci pensino coloro che, per mesi, per anni, ci hanno ripetuto che non bisogna esagerare, quelli dei distinguo, delle titubanze, delle incertezze, della cittadinanza onoraria non concessa e di altre inutili meschinità che hanno minato alle fondamenta il nostro stare insieme. Riflettano sulla loro sfiducia nella cosa pubblica, specie se si tratta di esponenti politici, e su quanto una battaglia a viso aperto sia preferibile rispetto alla loro ignavia. Si interroghino coloro che hanno accantonato ogni battaglia di principio in nome di un pernicioso pragmatismo. Stiano attenti a non replicare ulteriormente questo schema perché conduce dritti nell’abisso ed è alla base delle disfatte della sinistra negli ultimi trent’anni.
Quanto a noi che ci abbiamo sempre creduto, abbiamo il diritto di abbracciarci e lasciarci andare alla commozione, ma senza esagerare. Mille altre lotte, difatti, sono da compiere, innumerevoli ingiustizie devono ancora essere sanate, la verità su Regeni, Paciolla e tanti altri casi drammatici non è stata ancora accertata e non possiamo certo cullarci sugli allori. Diciamo che oggi si chiude una pagina incresciosa e riacquista il diritto di vivere un uomo e un giornalista che ha messo a nudo la nostra ipocrisia e le conseguenze delle nostre guerre dissennate. Abbiamo, dunque, smesso di processare noi stessi e riconquistato un brandello di dignità, oltre che il diritto di contestare, con il dovuto vigore, gli orrori altrui. Non basta, ma senz’altro è una base concreta da cui ripartire.

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