Articolo 21 in piazza con la Cgil per ricordare la tragedia di Satnam Singh e il diritto-dovere di raccontare lo sfruttamento

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C’era anche Articolo 21 in piazza a Latina, alla manifestazione indetta dalla Cgil per portare la solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori del comparto agricolo dopo la tragica vicenda di Satnam Singh “Navi”, il bracciante orrendamente rimasto mutilato da un macchinario e abbandonato senza soccorso dal proprio datore di lavoro (o meglio dal proprio sfruttatore). Una vicenda che le cronache hanno potuto raccontare grazie alla coraggiosa denuncia di un compagno di lavoro, un uomo che viene definito “un irregolare” che per primo ha capito che il limite verso l’abisso era stato superato e ha chiamato Hardeep Kaur, segretaria della Flai-Cgil che ha raccontato l’accaduto.

Oggi eravamo in piazza come scorta mediatica per quelle donne e quegli uomini senza voce e senza ascolto, per quanti – sindacalisti e associazioni – da anni lottano per i diritti degli ultimi, degli sfruttati, strappando brandelli di diritto e di legalità in un sistema che fa di tutto per negarli.
Abbiamo ascoltato gli interventi dell’Anpi Nazionale, di Libera, di Marco Omizzolo, di tanti sindacalisti e sindacalisti, di lavoratrici e lavoratori. L’appello condiviso è stato: eliminare la Bossi-Fini, la radice di tutti i mali che da decenni tiene in scacco migliaia di uomini e donne, favorendo di fatto gli sfruttatori che agiscono senza timore di controlli e di ispezioni.
E se oggi eravamo in quella piazza è perché abbiamo saputo cosa è accaduto. Perché la Cgil lo ha raccontato ché altrimenti le norme bavaglio vigenti avrebbero nascosto alle cronache anche questa tragedia. È ciò che Patrizia Migliozzi del nostro presidio di Latina ha ribadito sul palco: “La difesa dei diritti costituzionali è anche difesa dell’articolo 21 che portiamo nel nome, il diritto di informare e di essere informati. –  ha detto – Diritto fondamentale per illuminare vicende tragiche come quella di Navi, necessario per sollevare le coscienze e dire basta al caporalato”.

Intanto le indagini degli inquirenti proseguono e dopo i risultati dell’autopsia si potrebbe arrivare alla riformulazione del capo di imputazione nei confronti di Antonello Lovato, il figlio del titolare dell’azienda in cui Navi lavorava. Emerge inoltre un’inchiesta per caporalato nei confronti del padre, Renzo Lovato, l’uomo che ha tentato di addossare la colpa di quanto accaduto alla vittima riducendo la vicenda a “una leggerezza costata cara a tutti”.
Dalla piazza di oggi si riparte con la consapevolezza che servono misure radicali e una presa di responsabilità della politica tutta.


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