Mentre assistevamo attoniti all’esaltazione da parte dei telegiornali di regime della presidente del consiglio che va a ricevere un ergastolano condannato in via definitiva negli USA in transito verso Rebibbia, scopriamo da una denuncia del quotidiano Sanità (quello che ricevono ogni giorno tutti i medici d’Italia) che il governo di estrema destra ha già pronto il disegno di legge per cancellare i pochi diritti relativi alla gestione della propria malattia e del proprio fine vita acquisiti negli ultimi dieci anni.
Come sappiamo la legge di riforma del sistema sanitario nazionale del 1978 già chiariva molto bene che la tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto dei diritti e della libertà della persona. Poi, nel 2017, la legge n. 219 raccoglieva quarant’anni di progresso nell’affermazione dei diritti della persona malata in una disciplina organica della relazione di cura e di fiducia: riconosceva alla persona il diritto di conoscere la propria condizione per decidere se accettare le cure, rifiutarle o sospenderle, anche se necessarie per la sua sopravvivenza; il diritto di interrompere le cure già in atto; il diritto di decidere per sé nell’oggi e anche per il futuro, mediante la Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC) e le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT); prevedeva il diritto a rifiutare idratazione e alimentazione; e infine, autorizzava la sedazione palliativa profonda per consentire alla persona una morte senza sofferenza. Nel 2019, la Corte costituzionale, decidendo sul caso Cappato, escludeva l’applicazione della norma penale sull’aiuto al suicidio per quei casi in cui la persona, la cui sopravvivenza dipende da strumenti di sostegno vitale, e afflitta da una sofferenza intollerabile, chieda di essere aiutata a morire. Da quel momento molte forze politiche, mai di destra, hanno invocato una legge organica nazionale sul fine vita, senza ottenerla. Chi è più attento e ha gli strumenti per capire i termini della questione si è precipitato a scrivere le DAT, quello che chiamiamo il testamento biologico, ricorrendo ad un ufficio comunale o a un notaio, in modo da avere qualche certezza anche in caso di incapacità subentrata di intendere e avere due delegati di fiducia che dovranno occuparsi dei suoi momenti più difficili in termini di cure o di rifiuto di accanimento terapeutico. Stiamo parlando del momento più importante della vita, cioè la morte.
Ma il senatore Maurizio Gasparri ha pensato bene di ridurre questi diritti presentando un disegno di legge ora in commissione, per demolire i diritti delle persone gravemente malate e in fin di vita.
Si inizia negando – contro il parere delle principali società scientifiche dei professionisti della salute – la natura di trattamento sanitario della nutrizione e della idratazione artificiali, al fine, si deve immaginare, di renderle irrinunciabili: e non solo per la persona ormai incapace che le avesse rifiutate nelle DAT o nella PCC (a quel punto inutili), ma pure per chi, capace e cosciente, opponga il suo consapevole e attuale rifiuto: gli estensori del d.d.l. delineano cioè uno scenario di nutrizione artificiale contro l’opposizione del paziente.
Il d.d.l. consente ai professionisti sanitari di far valere la propria obiezione di coscienza nei confronti dei contenuti della legge. Cosa significa ammettere l’obiezione a fronte del rifiuto di cure o del “noli me tangere” espresso dal paziente? Il medico obiettore potrebbe ritenersi autorizzato (dalla propria coscienza) a procedere senz’altro, magari con strumenti di contenimento fisico? Si è ritenuto ovvio che così non sia?
Altrettanta leggerezza si osserva là dove il disegno di legge cancella dall’art. 1, comma 9°, della l. 219 il riferimento alle strutture sanitarie private (di ispirazione religiosa o meno), con l’effetto-paradosso di esonerarle dalla “piena e corretta attuazione dei principi della legge”: niente consenso informato? Niente rispetto delle DAT e delle PCC? niente formazione del personale sui temi della comunicazione? Niente diritto al rifiuto delle cure?
Colpisce, infine, la completa indifferenza verso i principi elaborati dalla Corte costituzionale, in linea con gli esiti di una lunga ed attenta riflessione di medici, infermieri, ed altri professionisti della salute, oltreché di moralisti e giuristi; come l’indifferenza per chi, sofferente, sarà l’inevitabile, prossimo protagonista di un altro “caso Cappato”: dalla inutile richiesta di aiuto, al ricorso al giudice, al rinvio alla Corte costituzionale per avere finalmente giustizia.
Vogliono dunque riportarci agli anni ’50, al malato chiuso in casa con i familiari che comprano analgesici e cure pallative quasi di nascosto, alle “accabadora” raccontate da Michela Murgia, alla ricerca in ospedale dell’anestesista o medico compassionevole. O, per chi ha i mezzi, al medico che si fa pagare per la sedazione profonda.
No. Non ci stiamo. Sulla nostra pelle non passeranno. Attrezziamoci subito coinvolgendo l’associazione Luca Coscioni e mandando le nostre adesioni all’appello, firmato da centinaia di professori di diritto, anestesisti, ordinari di medicina, infermieri, al benemerito sito: