“Cinquant’anni fa un evento scosse la città fin dentro al suo cuore, a questo ha saputo reagire senza ricorrere ad altrettanta violenza. La strage di Piazza Loggia non è solo un capitolo di storia, ma una ferita nella nostra memoria collettiva, che ci ricorda il prezzo della democrazia l’importanza di stare uniti.Nel Cinquantesimo anniversario di quella giornata, Brescia si trasforma in un laboratorio a cielo aperto di incontri, dialoghi e eventi speciali. Vogliamo scavare a fondo nel significato di quel giorno e passare il testimone della memoria ai ragazzi e alle ragazze di oggi. Questi appuntamenti sono ponti lanciati verso il futuro, dimostrando che ricordare è il primo passo per costruire insieme una cittadinanza forte e consapevole”. Così recita l’introduzione all’ampio programma di eventi che lungo tutto l’anno a Brescia aiuteranno a ricordare quel tragico episodio inserito nella stagione della cosiddetta “strategia della tensione”. L’anomalia della bomba delle ore 10.12 del 28 maggio 1974, che causò 8 morti e oltre 100 feriti, sta nella matrice immediatamente riconoscibile: una bomba fascista ampiamente annunciata da campagne stampa, a colpire una manifestazione indetta a seguito di una drammatica escalation di violenze che avevano colpito Brescia e dintorni in quei mesi. Fascista come le altre di quegli anni. Come Piazza Fontana, Gioia Tauro, l’Italicus, la Questura di Milano. Ma se per queste ultime le indagini, per via di clamorosi depistaggi, si perderanno per anni dietro fantomatiche piste anarchiche, per Brescia questo piano non si può attuare. Ma non per questo mancheranno complicità ad altissimi livelli, anzi: coperture politiche, militari e imprenditoriali che fanno sì che ancora oggi siamo alle prese con due processi in corso a carico di due presunti autori materiali dell’eccidio, Roberto Zorzi e Marco Toffaloni, quest’ultimo minorenne all’epoca dei fatti. La responsabilità organizzativa dal 2017 è acclarata anche dalla Cassazione con la condanna all’ergastolo di Carlo Maria Maggi, leader del gruppo neofascista Ordine Nuovo e Maurizio Tramonte, informatore e infiltrato della polizia nello stesso Ordine Nuovo ma al contempo tragico complice dei soggetti su cui in teoria avrebbe dovuto vigilare e riferire. Ennesimo esempio questo dell’indicibile intreccio fra piani legali e illegali, istituzionali ed eversivi, che è uno dei più vergognosi marchi di fabbrica di quella stagione. In occasione del Cinquantesimo anniversario della strage verrà presentata al pubblico, presso le rinnovate sale di Palazzo Martinengo delle Palle, Via S.Martino della Battaglia 18, una mostra curata da Fondazione Brescia Musei e promossa dall’Associazione Casa della Memoria e dal Comune di Brescia. L’esposizione, primo traguardo pubblico di un progetto che condurrà all’inaugurazione di un percorso didattico-museale di Casa della Memoria (nata a Brescia su impulso particolare di Manlio Milani, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime e instancabile testimone di verità e giustizia), documenta l’instancabile impegno nel far sì che il ricordo delle vittime e dei fatti di quella drammatica giornata sia rinnovato nella consapevolezza civica, attraverso la comprensione del significato storico e politico dell’accaduto e il coraggioso impegno per raggiungere il faticoso, ma necessario, traguardo della verità. Intorno al vivo ricordo di Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi e Vittorio Zambarda, l’esposizione raccoglie le testimonianze delle diverse forme assunte nel tempo dalla memoria, dalla riflessione e dalla elaborazione collettiva dei fatti del 28 maggio 1974 e del lunghissimo e non ancora concluso percorso giudiziario. Nei materiali custoditi dalla Casa della Memoria, si ritrovano i protagonisti di questi 50 anni di testimonianza: volti celebri, cittadini anonimi che presero parte alle manifestazioni e alle infinite iniziative promosse dalle istituzioni e dalla società civile, famigliari e amici delle vittime, ma anche bambini che all’epoca dei fatti non erano ancora nati. Fotografie, slogan, dibattiti, concerti, mostre, concorsi per le scuole e pubblicazioni: un patrimonio che emerge per l’occasione dagli archivi della Casa della Memoria e che si presenta al visitatore nella sua dimensione di intreccio di voci e visioni accomunate dalla potenza del ricordo e animate dalla appassionata ricerca della verità e della giustizia. Quello che si potrà vedere nelle sale di via San Martino della Battaglia è solo una parte di un giacimento ben più ampio e in gran parte immateriale, simbolicamente evocato in mostra dai molti contenitori in cartone, chiusi o semiaperti, che alludono non solo al patrimonio archivistico di Casa della Memoria ma anche alle storie che – a cominciare da quelle delle otto vittime – la città custodisce amorevolmente da quel 28 maggio 1974. Aspettare 50 anni per avere giustizia è un tempo infinito. Ci sono persone che hanno atteso inutilmente e non ci sono più, altre che sarebbero state condannate per questa strage e non ci sono più neanche loro. “Se confrontiamo i morti di piazza della Loggia, pochi rispetto alle vittime delle stragi di oggi, delle guerre, la necessità di giungere a una sentenza potrebbe sembrare quasi un accanimento – scriveva su Riforma Laura Micheletti, che quella mattina di 50 anni fa, quattordicenne, era in piazza con la mamma-. Eppure chi può definire che peso ha la sofferenza, che tempi ha l’elaborazione di un lutto, quanto tempo ci vuole per voltare pagina? Da 50 anni ci sono persone che si sono fatte carico della memoria, di cercare la verità: in particolare Manlio Milani, che ha saputo unire la ricerca della verità per Brescia a quella di tutte le stragi, senza distinzione fra stragi nere e stragi rosse, con rispetto per le vittime, per i loro familiari, per la ricerca della giustizia che, sola può lenire la sofferenza di una morte così crudele”.
Perché solo attraverso la verità, storica e giudiziaria, un Paese può crescere. Sarebbe ora di fare veramente i conti con quella stagione.