Lo sciopero indetto dall’Usigrai è una scintilla che potrebbe accendere un mondo troppo assuefatto alle malefatte del nuovo prepotente regime dell’informazione. Mai piegarsi o perdere la fiducia. Se nella diagnosi periodica dei Reporter senza frontiere siamo scesi di cinque punti (dal 41° al 46°) posto nella classifica sulla libertà d’informazione significa che siamo messi malissimo. Tra l’altro, quella classifica è stata stilata prima degli avvenimenti più recenti, che ci portano persino più giù.
Lo sciopero sottolinea che il servizio pubblico radiotelevisivo ha perso ormai i suoi connotati salienti, che dovrebbero renderlo diverso da un’azienda merceologica qualsiasi. Se la Rai smarrisce il tratto di apertura, indipendenza e pluralismo voluto dalla riforma del 1975 e da una costante giurisprudenza costituzionale si avvia verso una amara eutanasia. Per questo l’iniziativa del sindacato va sostenuta, al di là di assurde polemiche che hanno investito una scelta finalmente coraggiosa. Che i vertici della Rai fomentino il crumiraggio, in appoggio al sindacato giallo da poco inventato per rompere l’unità del lavoro, ci racconta a che punto è la notte.
L’attuale destra italiana imita senza vergogna Orban e l’Ungheria, dopo avere sostenuto che il riferimento sarebbe stata la cultura conservatrice sì, ma liberale. Ora si tratta di ri-costruire un grande schieramento intersezionale, che parta dallo sciopero per immaginare un’alternativa sociale ed etica all’oppressiva regressione fatta di manganelli, bavagli, minacce e querele. Il pensiero non può e non deve mai diventare unico, come avviene negli Stati liberticidi e autoritari.
Uno scioperò non farà primavera, però…