Leggendaria e MicroMega: discutiamo di patriarcato

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Il femminicidio di Giulia  Cecchetin e l’accorato appello della sorella Elena “Il femminicidio non è un delitto passionale, ma di potere, è un omicidio di Stato” ha posto all’attenzione una parola che sembrava appartenere solo ai dibattiti femministi: patriarcato. Anche  l’appello del padre di Giulia agli uomini e a una loro assunzione di responsabilità ha suscitato un disagio diffuso che ha richiamato la presenza di uomini giovani e meno giovani alle manifestazioni di Padova e di NUDM il 25 novembre. Storici, antropologi , politici hanno dato il via a un dibattito sul patriarcato, una struttura sociale antichissima che alcuni dichiaravano morta, mentre altri cercavano di coglierne la permanenza nel tempo e la sua capacità di agire all’interno di sistemi politici diversi in vigore.  A questo dibattito hanno dato un contributo straordinario le due riviste che presentiamo: Leggendaria n.163 e Micro Mega 2/2024.” Leggendaria, Libri letture, linguaggi”  esiste dal 1997 e affronta pressoché costantemente il tema della violenza sulle donne, del patriarcato e delle lotte dei femminismi.

In questo numero“Violenza Ancora” dedica uno speciale al tema con interventi di riflessione politica di Annamaria Crispino ed Elvira Federici, ed altri riferiti soprattutto ad esperienze politiche e culturali sul tema in diversi territori ed esperienze . Micro Mega, una rivista che resiste nel difficile mercato editoriale dal 1986, ha dedicato un intero numero all’argomento col titolo non a caso “ Liberiamoci del patriarcato”  e non dal patriarcato, patriarcato inteso come  un sistema da cui uscire per trovare un modo diverso di essere società. Una rivista che desidera dialogare e che lascia una parte del dibattito a voci del femminismo di ieri di oggi di domani, rivolgendo un nutrito questionario a femministe intellettuali e militanti. La rivista si apre con il bel saggio Di Eva Cantarella, che  ribadisce come la civiltà greca, insieme allo straordinario patrimonio culturale che ha plasmato la nostra cultura, ci ha  lasciato anche una pesantissima eredità: la discriminazione del genere femminile. I confini della vita delle donne sono  stati delineati proprio dai Greci delle poleis con limitazioni di cui non troviamo traccia nel Vicino Oriente antico. Francesco Remotti Paola Sacchi e Paolo Viazzo analizzano il termine patriarcato in una prospettiva antropologica, dopo che i termini patriarcato e matriarcato come “fasi primitive” dell’evoluzione universale delle società umane era stata abbandonata anche per le critiche  dell’antropologia femminista degli anni Settanta – Ottanta, che individuava in queste letture una prospettiva eurocentrica.

L’atteggiamento dell’antropologia in relazione al patriarcato è mutato nel corso degli anni Duemila in seguito alla mobilitazione femminista transazionale contro la violenza sessuale e di genere, che viene proprio  ricondotta a strutture e ideologie patriarcali. In Italia poi si può legare l’irruzione del termine sulla scena pubblica a seguito dei più recenti casi di femminicidio.  Gli autori di questo saggio si interrogano su quale tipo di potere rappresenti il patriarcato, su chi lo esercita e chi lo subisce, ma allargano lo sguardo anche oltre il patriarcato classico, ad altri paesi come Turchia e Medio Oriente,  Cina, Africa. Giuliana Sgrena approfondisce come le religioni monoteiste sebbene non lo abbiano fondato, , abbiano contribuito al mantenimento delle struttura patriarcali nel corso dei secoli, attingendo ai loro testi sacri caratterizzati da una profonda misoginia.  La trattazione della rivista è davvero complessa e non trascura il lungo percorso delle donne italiane dalla Costituente in poi per rinnovare una legislazione che faceva dell’Italia un paese profondamente patriarcale. Non consolatoria è tuttavia la conclusione di Ingrid Colanicchia che constata come, al di là dell’abolizione di certe leggi, l’impalcatura patriarcale permane nella mentalità, negli atteggiamenti nelle relazioni, nei rapporti di potere e occorreranno ancora 131 anni per raggiungere la parità di genere nei vari paesi, secondo l’ultimo Global Gender Gap.  Né manca l’analisi della soggettività del pensiero giuridico, che si basa su stereotipi e pregiudizi che si trasformano in parola dello Stato nelle sentenze giuridiche che  alimentano l’impunità della violenza  e mantengono ben saldi assetti di potere maschile consolidati negli anni. Una sezione interessante e complessa della rivista è dedicata alla lingua, al rapporto parole  – realtà e come rappresentarlo. Tre problemi si evidenziano: il maschile non marcato per riferimento a gruppi misti, tipico dell’italiano, come di tutte le lingue che hanno una dicotomia maschile femminile, non dà conto di pluralità di generi nel gruppo, né chiarisce se la singola persona cui ci si riferisce possa avere un genere diverso; a ciò si aggiunge la criticità del maschile di prestigio per ruoli apicali (l’avvocato Maria Rossi)  rispetto anche  alla coordinazione degli aggettivi. 

Soluzioni tentate come il suggerimento di usare sia il masc. che il femm. (elettori ed elettrici) o sostituire con un termine neutro (il corpo elettorale)  non appaiono sempre possibili e ottimali. La terza istanza di “italiano inclusivo” è quella recente di Luca Boschetto, di introdurre una terza categoria di genere neutrale, non neutro, attraverso la schwa o schewà. Anche questa proposta di un genere non marcato non rimuove però tutte le problematicità del maschile di prestigio, né problemi di ordine morfologico e fonologico. Sul piano linguistico sembriamo ancora lontani da soluzioni funzionali e condivise, l’unica cosa su cui convergono gli studiosi sembra essere che occorre tempo per metabolizzare passaggi che affondano profondamente sia nelle identità individuali sia nell’aspetto di lingua come “bene comune” da poter condividere.

Stimolante mi è parsa la provocazione lanciata da Federica D’Alessio della redazione della rivista, la quale  dopo una puntuale disanima sulla situazione del patriarcato oggi pone una domanda su come le donne e i movimenti abbiano saputo rispondere all’attacco del patriarcato sul piano politico e denuncia la mancanza di un ordine sociale sostitutivo, marcando la mancanza di visione  e progettazione in seno al femminismo. Alla domanda, a mio avviso, rispondono  seppur indirettamente, gli interventi delle studiose, intellettuali femministe  cui è lasciato spazio nella terza parte della rivista. Le loro risposte, pur confermando una frammentarietà e una variegata galassia di reti, collettivi, attività dei femminismi, costituiscono il nostro patrimonio, la nostra ricchezza e ad esse dobbiamo guardare, esse dobbiamo interrogare per costruire un nostro futuro.

Di tutto ciò si parlerà venerdì 24 maggio alle 17.30 presso Lo Scalo Community hub di Orvieto in un’iniziativa del Filo di Eloisa con la collaborazione del Centro Antiviolenza l’Albero di Antonia. Saranno con noi Anna Maria Crispino, direttora di Leggendaria,  Maria Serena Sapegno docente di letteratura Italiana e  Studi delle donne e di genere, Elvira Federici, Società Italiana delle letterate.


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