La giornata veronese di Papa Francesco nel segno del perdono e della pace

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Non si capisce questa giornata veronese se non si parte dal pranzo: il papa ha voluto che fosse non con le autorità cittadine, non con vescovi presenti a Verona, ma con i detenuti. Questa non è certo una novità, questa sua scelta non aggiunge un bel nulla al suo programma ordinario in occasioni del genere, ma dice molto di lui, e del suo rapporto con chi ha sbagliato, che va recuperato. E’ la sintesi di una visione, che si riflette benissimo in un gesto ormai ordinario, ma che ogni volta ci aiuta a capir dei più come pensi e viva Francesco.
Questa visione di fratellanza, di recupero, di giustizia finalizzata a riparare e non a condannare , emarginare, punire, spiega anche uno dei passaggi più importanti della sua omelia ai sacerdoti veronesi: “ Per favore, perdonate tutto, perdonate tutto. E quando la gente viene a confessarsi, non andare lì a inquisire “ma, come?…”, niente. E se voi non siete capaci in quel momento di capire, andate avanti, il Signore ha capito. Ma per favore, non torturare i penitenti. Mi diceva un grande Cardinale, che è stato penitenziere, era abbastanza conservatore, ma davanti alla penitenza, io l’ho sentito dire: “Quando una persona viene da me e io sento che ha difficoltà a dire le cose, io dico: ‘Ho capito, vai avanti’. Io non ho capito, ma Dio ha capito”. Questo, nel Sacramento della Riconciliazione. Per favore che non sia una seduta di tortura. Per favore, perdonate tutto. Tutto. E perdonare senza far soffrire, perdonare aprendo il cuore alla speranza. A voi sacerdoti chiedo questo. La Chiesa ha bisogno di perdono e voi siete gli strumenti per perdonare. A tutti. A tutti dobbiamo portare la carezza della misericordia di Dio, specialmente a chi ha sete di speranza, a chi si trova costretto a vivere ai margini, ferito dalla vita, o da qualche errore commesso, o dalle ingiustizie della società, che vanno sempre a scapito dei più fragili. Capito? Perdonare tutti”.

Questa idea di salvezza che dipende dalla bontà di Dio e non dalla nostra pretesa di essere o essere stati perfetti, inappuntabili, si unisce a un’altra idea decisiva, cruciale, ed ha trovato in questa giornata la sua centralità. E’ l’idea dell’opposizione polare, che capisce entrambi i poli come positivi, in tensione feconda. Ecco perché Bergoglio nega che i conflitti vadano negati, nascosti.
Può sembrare paradossale, ma per dire no alla guerra il papa rafforza il suo discorso sull’importanza dei conflitti. Anche questo, come quello per cui Dio perdona tutto (altrimenti il mondo sarebbe finito da un pezzo, ha detto una volta) è un concetto cardine nel suo magistero, ed è il caso, rischiando di banalizzare un po’, di fare qualche esempio, senza riferimenti a quanto asserito dal papa, per tentare di spiegarsi.

Bergoglio ritiene che nascondere i conflitti sia un male, pericoloso. Il conflitto di cui parla Francesco non è quello armato, ma quello tra i poli in tensione, che servono entrambi. Facciamo l’esempio più semplice che può venire in mente, quello di individuo e società. Se noi negassimo il polo sociale, proiettandoci in una visione tutta individualista, arriveremmo a una visione che ognuno capisce opposta a quella che propugna, che sostiene Francesco. Ma anche se scegliessimo di cancellare il singolo, i diritti e le necessarie libertà e autonomie dell’individuo come tale, faremmo un bel guaio. Forse il mondo, dopo averci fatto conoscere i mali del secondo errore, è oggi preso dal primo?  Proseguiamo: facciamo l’esempio del globalismo e del localismo. Un mondo globalizzato può avvicinarsi a quell’idea di fratellanza universale di cui parla Francesco, ma può anche imporre un sistema unico, magari basato sulla finanza, che produce il contrario. Anche il localismo, se viene vissuto come rifiuto del mondo diventa chiusura, ma se preserva diverse tradizioni, diverse culture, fa bene, molto bene. Dunque i conflitti per Francesco non vanno negati: “ Spesso siamo tentati di pensare che la soluzione per uscire dai conflitti e dalle tensioni sia quella della loro rimozione: li ignoro, li nascondo, li marginalizzo. Così facendo amputo la realtà di un pezzo scomodo ma anche importante. Sappiamo che l’esito finale di questo modo di vivere i conflitti è quello di accrescere le ingiustizie e generare reazioni di malessere e frustrazione, che possono tradursi anche in gesti violenti. E questo lo vediamo anche nella politica. Quando nella politica si nascondono i conflitti, questi scoppiano dopo, scoppiano male, non c’è l’armonia”.

L’armonia, vocabolo importantissimo per Francesco, che si raggiunge non negando i conflitti, ma distinguendo ciò che si oppone a ciò che si contraddice. Nel globalismo non c’è contraddizione con la preservazione di tradizioni e culture diverse, nel localismo non c’è negazione dell’altro, del mondo. E infatti ecco la sua frase decisiva: “Una società senza conflitti è una società morta. Una società dove si prendono i conflitti per mano e si dialoga è una società di futuro”. Conflitto, dialogo; ecco la ricetta della pace secondo Francesco. I poli ci devono spingere sempre verso una soluzione del conflitto salendo ad un livello più alto, per trovare un nuovo punto di conflitto  che ci farà salire ancora.
Ma nel mondo, come lo vediamo oggi, c’è molta fretta. Andiamo sempre di corsa, e così subentra la fretta di risolvere i problemi, una volta per tutte. Il consiglio del papa è di “rallentare”: le stesse guerre, ha detto,  derivano non raramente da un’evidente impazienza: l’urgenza di fare presto! E invece occorre pazienza per fare la pace. Si deve fermare “la moltiplicazione delle reazioni aggressive”, e questo lo si coglie bene anche  nel nostro vivere quotidiano: ed emerge che questo è proprio un meccanismo perverso.

 

 


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