Non era senso profetico quello di Articolo 21. Non era un timore infondato per la libertà di informazione. La nostra associazione per prima ha parlato del rischio “orbanizzazione” per l’Italia, non solo e non tanto per la ostentata amicizia tra il leader ungherese e la premier Giorgia Meloni, quanto per la progressiva introduzione nell’ordinamento italiano di leggi capestri per i giornalisti e ora per i magistrati, nell’intento, persino ostentato da alcuni, di proteggere i colletti bianchi da fastidiose inchieste delle Procure e, peggio ancora, dalla loro divulgazione da parte dei giornalisti. Una corsa contro il tempo. La lunga serie di norme che attenuano i reati contro la pubblica amministrazione e che vorrebbero frenare la divulgazione sono arrivate tardi, per esempio, nell’inchiesta di Genova che prova almeno un paio di cose. La prima riguarda il fenomeno della corruzione, di livello sudamericano, che non si può nascondere con leggi che ne vorrebbero impedire la pubblicazione.
“Purtroppo avevamo ragione: l’Italia si è messa sullo stesso binario dell’Ungheria. Era chiaro quando un nutrito gruppo di esponenti di Governo ha denunciato i giornalisti del Domani. Era chiaro quando ci sono stati gli attacchi a Report con la convocazione di Sigfrido Ranucci in Commissione di Vigilanza. E… comunque bastava vedere il video che la Meloni ha inviato agli esponenti di Vox. Era tutto lì, evidente”.