Erano le 10.12 del 28 maggio 1974, esattamente 50 anni fa. La scena: piazza della Loggia a Brescia dove le sigle sindacali della «triplice» – Cgil, Cisl e Uil – organizzarono una manifestazione per opporsi all’ondata terroristica neofascista (l’ultimo obiettivo di un attentato dinamitardo era stata la sede della Cisl). Alla manifestazione – che ebbe tra i promotori anche il Comitato antifascista – parteciparono tra gli altri Adelio Terraroli, deputato del Pci, Gianni Panella segretario della Camera del lavoro di Brescia e Franco Castrezzati, segretario generale dei metalmeccanici della Cisl, chiamato a intervenire proprio in merito a quell’ultimo attentato.
I diversi cortei stavano confluendo in piazza della Loggia quando il discorso del segretario Castrezzati venne interrotto da un boato proveniente dal colonnato su un lato della piazza. È un ordigno, nascosto in un cestino della spazzatura esplode. Una vera e propria strage, la bomba causò la morte di otto persone (sei subito, altre due qualche giorno più tardi a causa delle ferite riportate). I feriti furono più di cento. Da allora depistaggi innumerevoli per allontanare la verità, perché la gente doveva avere paura, senza avere chiaro ciò che fosse accaduto. L’ho scritto nel mio libro, Traditori.
Il primo depistaggio avvenne subito, quando i morti erano stati appena raccolti dalle strade e i feriti in viaggio verso l’ospedale. A distanza di circa un’ora e mezza dall’esplosione, infatti, il vicequestore Diamare ordinò ai vigili del fuoco di pulire con le autopompe la scena del delitto e di eliminare i detriti.
Il ministro dell’Interno, Paolo Emilio Taviani, rimosse con urgenza il funzionario (insieme al capo della mobile, Purificato, risultato socio di una finanziaria alla quale aderivano molti neofascisti). Ma il danno era stato fatto, il guaio irrimediabile.
Il giudice istruttore Domenico Vino disse che la fretta dell’intervento suscitava inquietanti interrogativi, anche perché aveva causato «la dispersione di preziosi reperti».
Taviani, tempo dopo, affermò: «A mio parere, ed infatti lo dissi ad Amato, non era possibile che a Brescia ci fossero due
funzionari chiaramente di una certa parte […]. Quando dispensai dal servizio Purificato e Diamare, avrei dovuto saperlo prima chi erano Purificato e Diamare, dato che a Brescia c’era già stata una serie di attentati».
Non misteri – cioè qualcosa che non si sa – ma segreti, ovvero qualcosa che si sa ma non si vuole dire. Come può una democrazia continuare a convivere con queste ombre così oscure?