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Epocale e politica la tragedia dell’alluvione nel sud del Brasile

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Il grande lutto causato dal cataclisma atmosferico che sta devastando le sue regioni meridionali, ora infiamma in Brasile anche il confronto politico. Non solo nel Rio Grande do Sul, anche nell’attiguo stato di Santa Catarina e nelle provincie circostanti le piogge continuano intense, rese più sferzanti dalla forza dei venti. I morti accertati sono 150 e altrettanti gli scomparsi, 70mila i profughi, incalcolabili i danni materiali. L’insufficienza dei soccorsi, esasperata dalla lentezza dovuta all’impraticabilità delle comunicazioni terrestri e all’imprevidenza degli ultimi anni nell’adeguamento delle infrastrutture idrologiche, ha scatenato un polemico rimpallo delle responsabilità tra le autorità locali e quelle centrali. Che in sostanza significa il governo di sinistra-centro di Brasilia, presieduto da Lula, da una parte; e dall’altra quello regionale, dominato dai moderati del partito socialdemocratico schierati con l’opposizione di destra, con alla guida il giovane governatore Eduardo Leite. L’acceso dibattito coinvolge l’intero paese, come e più della mobilitazione per convogliare quanti maggiori aiuti possibili. Poiché una volta di più le parole sono più rapide ed eccedono i fatti.

Il colpo d’occhio sulle zone colpite presenta un immane pantano, acqua e fango senza fine da cui spuntano solo gli ultimi piani di abitazioni abbandonate, pali dell’elettricità e qualche campanile. L’immagine di un cavallo rimasto miracolosamente sulle sue zampe in cima alle tegole di un tetto semisommerso e infine salvato dai vigili del fuoco, ha fatto il giro del mondo. E’ divenuta simbolica. L’allevamento di animali di grande e piccola taglia (equini, bovini, ovini), insieme alle coltivazioni di oleaginose (soja, mais, girasole e yerba mate), commercio e turismo costituiscono la base della florida economia regionale. Si tratta di un’immensa e fertilissima pianura, in numerosi punti fisicamente depressa, attraversata dal corso del grande Guaiba e altri 4 fiumi minori, che normalmente dopo averla irrigata sboccano tutti nell’Atlantico, quasi alle frontiere con Uruguay e Argentina. Già da alcuni anni, però, i mutamenti climatici, accentuati dalla perversa corrente del Niño, avevano intensificato frequenza e intensità delle piogge. I pronostici meteorologici annunciavano univoci gravi peggioramenti.

Lo stesso governatore, Eduardo Leite, in campagna elettorale aveva promesso di realizzare interventi da anni ritenuti indispensabili alla protezione dell’ambiente. Adesso, insieme ai compagni di partito Aècio Neves, ex presidente della Camera dei deputati ed ex candidato alla presidenza della Repubblica (sconfitto da Dilma Rousseff, del lulista PT) e dal presidente dei socialdemocratici, Marconi Perillo, accusa Lula di aver discriminato il Rio Grande nella ripartizione dei fondi destinati all’adeguamento delle infrastrutture pubbliche. Ma dal governo di Brasilia gli ritorcono contro che la sua città, Porto Alegre, totalmente allagata, al pari di ben altre 14 capitali statuali (su 26, oltre la capitale federale) sono a tutt’oggi prive del più volte sollecitato Piano per la Protezione Climatica. Malgrado i rischi evidenti e crescenti. Certamente vero è che finanche a livello internazionale la foresta amazzonica per sue  eccezionali, uniche dimensioni e ricchezze naturali ha richiamato l’attenzione pubblica, portando a trascurare zone non meno a rischio.

La tragedia impone dunque all’attenzione di opinione pubblica e politica l’assoluta urgenza di un intervento massiccio e pianificato in difesa dell’ambiente. Tema evidentemente di uno spessore culturale molteplice, di non univoca soluzione e comunque irrisolvibile al di fuori d’una coerente visione di ampio e lungo periodo. Dunque d’una pragmatica ma sincera politica di stato, condivisa da tutte o quanto meno dalla grande maggioranza delle forze politiche. L’estrema destra di Bolsonaro, invece, la respinge ignorandola (non si conosce un suo solo documento che affronti organicamente la questione). A dominarla sono del resto gli interessi dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, affiancato dall’irrazionalità del pensiero evangelico fondamentalista. La via d’uscita appare perciò ragionevolmente possibile solo in una specifica trattativa tra la maggioranza di sinistra-centro e le forze moderate rimaste all’opposizione. Il partito socialdemocratico, al governo nel Rio Grande do Sul inondato, ne rappresenta un soggetto ineludibile. Lo stesso Lula, il suo PT e l’intera economia nazionale devono infatti trovare modi e tempi per rendere compatibile la dipendenza dal petrolio (e Petrobras) con la salvezza fisica del paese.


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