Ci siamo sempre battuti, a ogni latitudine, contro ogni forma di violenza e di censura. Abbiamo condannato e contrastato il terrorismo in tutte le sue forme, e non crediamo di dover prendere ulteriormente le distanze dai fatti del 7 ottobre, cui peraltro non abbiamo mai guardato con indulgenza. Ora, però, la reazione del governo Netanyahu, il principale nemico di Israele alla luce di ciò che sta accadendo nelle strade, nelle piazze e nelle università di tutto l’Occidente, ha passato il segno. L’idea di chiudere un’emittente prestigiosa come Al Jazeera, voce del mondo arabo e punto di riferimento per intere comunità, solo perché, attraverso i suoi servizi e il coraggio dei suoi reporter, mette in discussione la propaganda dell’estrema destra che guida l’esecutivo di Tel Aviv, mette a repentaglio la definizione stessa di democrazia. Una democrazia, infatti, non oscura alcun canale, non impedisce ai giornalisti di svolgere il proprio lavoro, non ne mette a rischio l’incolumità e, meno che mai, compie un atto che non esitiamo a definire di guerra.
E così, negli stessi giorni in cui l’Italia precipita dal quarantunesimo al quarantaseiesimo posto della classifica annuale di Reporters Sans Frontières (RSF) e assistiamo a un complessivo arretramento dei diritti e delle libertà garantiti nelle società occidentali, siamo costretti a fare i conti con una vergogna che non può e non deve passare sotto silenzio.
In attesa di conoscere le sorti di Julian Assange, constatiamo che la nostra presunta diversità rispetto a conclamate dittature è sempre più tenue. Peccato che così, insieme ai capisaldi del nostro stare insieme, cada anche quel velo di ipocrisia che finora ha reso possibile una convivenza civile sempre più difficile. Temiamo che la risposta non tarderà ad arrivare, con conseguenze imponderabili.
I governi delle due sponde dell’Atlantico si interroghino se non sia arrivato il momento di interrompere ogni rapporto, primi fra tutti quelli militari, con un esecutivo che sta innescando un conflitto potenzialmente globale,. In nome della pace, ma anche del sacrosanto diritto di Israele a esistere e della diffusa popolazione ebraica a essere rispettata e accolta ovunque nel mondo.