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Caccia alle streghe e caccia ai giornalisti. Intervista al direttore del Domani, Emiliano Fittipaldi

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“Raccontiamo un Paese che, tutto sommato, non si indigna davanti a situazioni per le quali c’è da indignarsi a prescindere dal risvolto penale del singolo caso. E un Paese di questo tipo esiste anche perché c’è una parte dello stesso che considera, per esempio, la corruzione come un reato minore e dove la questione morale è secondaria, almeno per una parte dell’opinione pubblica”.

Alla vigilia della missione italiana del Consorzio Mfrr un colloquio con Emiliano Fittipaldi, direttore del Domani, il giornale messo all’indice da buona parte della compagine di Governo e inviso anche ad un po’ di altri colleghi giornalisti, è una parentesi in mezzo alla tempesta del caso Toti, il governatore della Liguria arrestato per corruzione e difeso da una fetta importante della politica come l’ennesimo perseguitato dalla magistratura, mentre già nell’aria si sentiva il venticello che attribuisce ai giornalisti la colpa della persecuzione.

Si è fatta un’idea dei motivi per i quali i giornalisti di giudiziaria italiani siano praticamente finiti nel tritacarne? Criticati anche da una parte della stessa categoria, che plaude alle riforme bavaglio?
“Credo che la cronaca giudiziaria italiana abbia attraversato varie fasi. C’è stata la prima, quella da tangentopoli in poi, in cui ha avuto molto rilievo. Poi si è passati alla fase in cui è stata vista come un’arma contro i nemici politici, negli anni duemila e soprattutto in riferimento a Silvio Berlusconi; si è diffusa in quel momento l’idea che la giustizia fosse un modo per colpire il nemico attraverso il braccio armato dei giornalisti di giudiziaria. Poi sono arrivati gli ipergarantisti e si è creato uno squilibrio per cui la cronaca giudiziaria viene vista come una lesione del diritto di difesa, della privacy, del segreto istruttorio. Un concetto che si associa all’idea per cui il pm ha sempre torto e l’indagato, specie se potente, ha sempre ragione. Posizioni ipergarantiste non si trovano solo in politica né solo nella maggioranza, ma spesso attraversano anche testate giornalistiche e una parte della categoria. Io non nego che ci siano stati degli eccessi nella cronaca giudiziaria, che si è violata la privacy talvolta, ma questo non può giustificare ciò cui assistiamo in questo momento”.

Allora? Che cosa vi aspettate al Domani da questa missione?
“So che è stata decisa in seguito a quello che è successo a noi e quindi spero che la nostra vicenda possa essere presa come un caso esemplificativo di ciò che accade in Italia. Perché, lo voglio ricordare, ciò che è stato fatto a noi non ha precedenti: la ricerca di una fonte giornalistica con l’intervento del potere giudiziario e poi il potere giudiziario lo ha anche raccontato. Credo sia stato un salto di qualità, un modo palese di colpire un giornalista per educarne cento, per dire a tutte le fonti ‘state attenti perché può succedere anche a voi’. Ecco, questo ritengo sia un modo per censurare le notizie. Questa caccia alle fonti è assurda, nuova e molto preoccupante. Io sono stato anche chiamato in Commissione parlamentare antimafia, sottoposto ad un interrogatorio nel quale mi hanno chiesto di tutto, anche come sono diventato direttore…”

Visto che tra qualche ora avremo di fronte osservatori europei indipendenti vogliamo ribadire che le ultime riforme non ce le chiede l’Europa? E’ pleonastico probabilmente. Ma tanto vale…
“Allora, il Media Freedom Act, di recente approvazione, non prevede la censura della notizia. Un giornalista che ha una notizia deve poterla pubblicare, sia che essa provenga da fonti, che sia in atti giudiziari o sia frutto del lavoro giornalistico indipendente. E l’Unione Europea non ci chiede di svelare né perseguire le fonti, anzi l’opposto. Dice di tutelarle”.

Però una delle eccezioni più frequenti è che i giornalisti italiani di giudiziaria non sono come i loro colleghi europei.
“Beh intanto, appunto, raccontiamo un Paese diverso. Diverse sono anche le indagini, per esempio ne abbiamo molte di mafia perché contiamo tre delle maggiori mafie del mondo. Poi forse siamo anche più bravi a scovarle queste storie, perché la mafia c’è anche altrove, magari non così presente, ma esiste eccome. Penso alla Germania per esempio. Detto questo, penso che tutto dipende da quanto è alta la tua asticella etica. La mia è molto alta. In Italia una parte della politica e della stampa non si stupisce e non si indigna e questo contribuisce a rendere gli altri, quelli che invece si indignano e stupiscono, degli sciacalli o violatori seriali di diritti”.

 


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