Assange, Regeni giustizia calpestata, mentre l’Italia sui diritti Lgbqit+ vota contro l’Ue

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Il 20 maggio la Corte Suprema britannica deciderà sulla sorte di Julian Assange contro cui da dodici anni si è scatenato il potere politico-militare statunitense che gli contesta il lavoro svolto da giornalista coraggioso e libero accusandolo di cospirazione e spionaggio. I giudici londinesi concederanno o negheranno l’estradizione a chi da 12 anni è diventato l’emblema stesso della libertà d’informazione? E se riconsegnato alle autorità statunitensi quale ricaduta ci sarà non soltanto per il giornalista australiano ma per tutto il giornalismo d’inchiesta che non si ferma davanti a minacce, ostruzionismi, divieti? Fondamento delle libertà democratiche il giornalismo non può essere trattato come azione criminale. Far sapere la verità, anche sui fatti più scabrosi, è il fondamento stesso della libertà e parità fra cittadini e istituzioni. Negli Stati Uniti, come in Italia. È per questa ragione che non ci si può distrarre su quanto sta per accadere in un’aula di giustizia londinese.

Ma la settimana che si apre dopodomani propone anche un altro caso eclatante, sempre in un’aula di giustizia, questa volta romana: il processo ai torturatori e assassini di Giulio Regeni. Torturatori assassini che hanno identità e nomi ma che vengono tenuti nascosti dalle autorità egiziane sulle quali evidentemente i ‘potenti’ governanti italiani – che hanno accolto con grande clamore il rientro in Italia di Chico Forti, estradato dal supercarcere statunitense nel quale scontava una condanna all’ergastolo – poco possono o vogliono fare. Martedì e giovedì si terranno altre due udienze nelle quali proseguirà, con i quattro imputati contumaci, ma liberi nel proprio Paese, il processo per quell’orribile delitto commesso contro un giovane ricercatore universitario che svolgeva con meticolosità il suo lavoro e che per questo venne massacrato. Ad Assange il carcere, a Giulio la morte solo perché impegnati nella ricerca di verità. Indispensabile, non solo a sostegno della coraggiosissima famiglia Regeni, ma anche e soprattutto della riaffermazione forte della funzione di tutela di ogni forma di diritto, la scorta mediatica continua assicurata da Articolo 21.

E nei giorni scorsi è stata definita un’altra iniziativa di grande valore umanitario e, ancora una volta, di forte affermazione di lotta contro la violenza mascherata da azione giudiziaria. Ilaria Salis è stata candidata al parlamento europeo nelle liste di Alleanza Vedi Sinistra, scelta politica adottata per sottrarre una fiera militante antifascista alle catene ostentate a Budapest dal regime di Orban. In carcere dal febbraio 2023, giovedì prossimo otterrà finalmente gli arresti domiciliari da scontare in Ungheria. Non è un caso che il provvedimento sia stato preso nelle ore successive all’ufficializzazione della candidatura di Ilaria e già questo risultato potrebbe bastare, da solo, a dare ragione al segnale forte che – però – da nessuna istituzione italiana era giunto, mentre cresceva sempre più compatta la mobilitazione per chiedere la scarcerazione di Ilaria accusata di un reato che lei nega di aver commesso.

Istituzioni silenti, dunque, ma non quando si è trattato di aprire bocca su un importante e significativo documento voluto dall’Unione Europea a tutela delle comunità Lgbqti+. E quel che è uscito da quelle bocche ufficiali è stato un  violento colpo allo stomaco di tutti i democratici che si riconoscono nella Costituzione. Dei 27  paesi proponenti, in 9 hanno apertamente, quasi sprezzantemente detto NO. Tra i nove l’Italia, con questa degna compagnia: Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca, Slovacchia.

Quanti di noi eravamo autorizzati a pensare che le prese di posizione di Vannacci fossero  farneticazioni reazionarie? Scoprire che invece ha dettato le scelte del governo è un’ulteriore conferma della deriva autoritaria che questo nostro povero Paese sta prendendo e che in troppi si ostinano a non voler vedere.
(Nella foto una delle manifestazioni pro Assange a Roma)


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