Siamo ridotti talmente male, in quest’Occidente in guerra con se stesso prim’ancora che con Putin, che in Germania qualunque voce scomoda viene, di fatto, messa a tacere. Non solo in Italia, dunque, dove almeno possiamo giustificare la cosa con la presenza al governo una destra che non ha mai fatto, né intende minimamente fare, i conti con la sua storia, ma in Germania, dove è al potere un socialdemocratico di nome Scholz, teoricamente erede di Willy Brandt. E invece, proprio in quel paese, accade che alla scrittrice palestinese Adania Shibli venga ritirato l’invito dalla Fiera del libro di Francoforte, che alla filosofa ebrea Nancy Fraser venga impedito di parlare all’università di Colonia per via delle sue posizioni sulla questione palestinese e che all’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, per lo stesso motivo, venga vietato di parlare persino da remoto. Qui siamo oltre la censura: siamo all’assurdo. Questi sono provvedimenti grotteschi ma, al tempo stesso, gravissimi, in quanto riecheggiano un passato che, a quelle latitudini, dovrebbe far venire la pelle d’oca. Sostenere il diritto del popolo ebraico a vivere in pace, infatti, è sacrosanto, così come va benissimo chiedere scusa all’umanità per essersi resi protagonisti della Shoah, ma qualcuno dovrebbe ricordare ai governanti tedeschi che anche il rogo dei libri e l’impedire a qualunque voce dissenziente di esprimersi appartengono a quella tremenda stagione che poi condusse all’abisso dei lager.
Facciamo attenzione. L’Occidente non può permettersi di diventare come Putin o come il regime iraniano, pena lo smarrimento della propria identità. Non possiamo condannare la vergogna altrui se ci rendiamo artefici di un simile scempio. Non possiamo tacciare chiunque sposi una posizione distante da quella ufficiale di putinismo o di simpatia verso gli attentatori del 7 ottobre. Non possiamo rinunciare al pensiero critico, alla libertà d’espressione e all’accoglienza di una visione opposta a quella che impera pressoché ovunque, frutto di una propaganda che ricorda, anch’essa, il periodo di cui qualcuno sembra voler rinverdire, di fatto, la barbarie. Insomma, non possiamo rivendicare la nostra presunta superiorità se facciamo di tutto per renderci addirittura peggiori di coloro che contestiamo.
Personalmente, non mi riconosco più in quest’Occidente che incarcera Assange, vieta manifestazioni scomode, attacca ragazze e ragazzi che manifestano nelle università, si serve di uno squadrismo mediatico senza precedenti, almeno nell’era democratica, e si accanisce contro chiunque alzi la testa e affermi di non essere d’accordo con la maggioranza. Non capisco più dove sia finito Voltaire, cosa ne sia stato dell’illuminismo, come siamo potuti cadere così in basso e cosa ne sarà di noi, dal momento che non sono alle viste cambiamenti nel senso di un ritorno al rispetto reciproco e alla piena accettazione delle minoranze.
Ci stiamo giocando la nostra diversità, la nostra anima, i nostri valori, tutto ciò che abbiamo faticosamente costruito negli ultimi otto decenni e, di conseguenza, il nostro futuro. Perché nel momento in cui, come detto, diventiamo indistinguibili dalle tirannidi contro cui, giustamente, ci scagliamo, perdiamo anche il diritto di essere arbitri delle contese internazionali che ci assediano.
Di un’Europa così, lo dico da europeista, non so che farmene. Come non so che farmene di un’America in cui si può ancora candidare un soggetto che ha tentato di realizzare un golpe, le diseguaglianze sono al diapason e in pochi, almeno a livello politico, hanno il coraggio di mettere in discussione un modello sociale, economico e di sviluppo che ha già ampiamente sfiancato la nazione un tempo simbolo della nostra unicità globale.
Il fatto che a porci questi interrogativi e a compiere riflessioni del genere siamo rimasti in pochi la dice lunga sull’entità del nostro declino. E sui rischi che corriamo qualora non dovessimo riuscire a invertire la rotta prima che si compia il processo, ahinoi già ben avviato, di auto-annientamento.
(Nella foto Yanis Varoufakis)