Questa destra italiana non è andata al Governo, ha preso il potere. Non ha solo al suo interno forti e pericolose pulsioni antieuropeiste: su certi temi – vitali per la democrazia – è proprio contro l’Europa. Uno di questi è la libertà di informazione. Quello che sta accadendo in Parlamento sul tema della diffamazione a mezzo stampa è incredibile. Ma vero.
Andiamo con ordine. Dall’Europa giungono segnali ( e atti ) inequivocabili. Media Freedom Act, direttive, raccomandazioni sentenze Cedu. Atti e segnali che, naturalmente, vanno nella direzione di tutelare un fondamento delle democrazie liberali: la libertà di informazione. E con questa il giornalismo d’inchiesta e i giornalisti, il servizio pubblico.
In certi stati membri la situazione è a livelli di allarme. L’Ungheria, i paesi di Viesegrad sono gli esempi più noti. Ma non i soli. Anche paesi e sistemi di consolidata tradizione democratica presentano rischi forti. Concentrazioni editoriali e conflitti di interessi. Precarizzazione del lavoro. Sempre più scarse tutele per le realtà editoriali e le esperienze diffuse, locali, di giornali, testate online, radio e Tv. Aumento delle querele a scopo intimidatorio contro i giornalisti. Attacchi al giornalismo d’inchiesta. Occupazione delle infrastrutture informative di servizio pubblico.
L’Italia della destra meloniana è un esempio allarmante di tutto ciò.
La legge sulla diffamazione a mezzo stampa è l’ultimo terreno scelto, con atteggiamenti che in certi casi rischiano di far impallidire perfino il Codice Rocco.
La riforma della diffamazione a mezzo stampa avrebbe dovuto essere un terreno comune di confronto e di soluzione di problemi urgenti. Via il carcere ai giornalisti, ovviamente. Perché è giusto e perché Europa e Corte Costituzionale ci fanno da anni vergognare con i loro pronunciamenti. Provvedimenti di incisiva deterrenza contro le querele presentate a scopo intimidatorio, per bloccare sul nascere inchieste, servizi tipici di un “contropotere” democratico come l’informazione. Definizione di responsabilità, manleve nelle redazioni. Rafforzamento delle tutele, anche legali, per le aziende editoriali più deboli, per giornalisti free lance che svolgono il loro lavoro in situazioni ( anche territoriali) più difficili, spesso dominate da intrecci opachi e pericolosi tra poteri economici e finanziari, poteri poco trasparenti ( certe lobbies e certe logge massoniche) politica e criminalità organizzata.
Alle proposte di legge presentate da PD e altre forze di opposizione ( come base di un confronto e di approdi in questa direzione) la destra ha risposto mesi fa adottando un testo-base ( il Balboni, senatore “recidivo” perché anche relatore del disegno di legge sul premierato, e ho detto tutto). Questo testo, come noto, va nella direzione opposta a quella democratica ed europeista necessaria, colpendo e colpevolizzando i giornalisti, invece dei promotori di querele intimidatorie. Ma al peggio, evidentemente, non c’è fine per questa destra ed ecco che, alla ripresa del confronto in Commissione Giustizia del Senato, proprio l’altro giorno il relatore Berrino ( anch’egli del partito della Meloni) ha presentato degli emendamenti ancora più gravi e pericolosi, a partire da quello, ormai noto, per mantenere la pena del carcere per i giornalisti, in caso di condanna per qualche fattispecie di diffamazione. È chiaro che questa cosa non passerà. Dentro la stessa maggioranza c’è chi ha preso le distanze. Del resto, il fatto che le voci di protesta dell’opposizione si aggiungano a quelle di FNSI, Ordine dei giornalisti, Articolo 21, altre associazioni e personalità, ha certamente un peso. Ma il segnale è, purtroppo, molto chiaro. E si aggiunge, in questo Paese, ad una occupazione selvaggia del servizio pubblico radiotelevisivo. A delibere della Vigilanza sulla par condicio che hanno il maleodorante sentore di regime.
Il segnale del carcere ai giornalisti si aggiunge, per continuare, alla trattativa che una azienda di Stato come ENI ha avviato per cedere la seconda Agenzia di stampa del Paese – l’AGI – ad uno dei principali monopolisti della sanità privata come Angelucci, parlamentare della Lega e proprietario, tra l’altro, di tre giornali di destra come Giornale, Libero e Tempo.
E altri fatti davvero inquietanti rafforzano il quadro di preoccupazione e allarme. Aumentano le querele che personalità di governo presentano ( o non ritirano se precedenti agli incarichi governativi) nei confronti di giornalisti, scrittori e intellettuali. Nel dibattito e negli atti approvati da questa maggioranza con la scusa di contrastare le “gogne mediatiche” ( drasticamente diminuite da anni, con le disposizioni del Ministro Orlando, come certificato dal Garante della Privacy) si sono stabiliti divieti e ridotti gli spazi per la pubblicazione di notizie e atti di indiscutibile interesse pubblico e generale. Al ( sacro) principio della presunzione di innocenza, che va davvero tutelato, questa destra e certi finti garantisti hanno sostituito quello della certezza preventiva di innocenza. E prima o poi vorranno arrivare ( ci provano da anni) a far decidere alla “Politica” quali reati la magistratura dovrà perseguire con priorità. E vogliamo scommettere che per questa destra i reati di corruzione, contro la pubblica amministrazione ( spesso illuminati da inchieste giornalistiche) verrebbero dopo quelli di strada? Dopo i rave party e quelli degli imbrattatori?
Sì, c’è un fastidio, una ostilità per tutto quello che è controllo, contropotere democratico, separazione e bilanciamento dei poteri, dall’informazione alla Magistratura, alle agenzie indipendenti. Si deve, si può rispondere. Secondo me parlando al Paese il linguaggio della verità. Non nascondendo i rischi di questa fase, cercando di allargare il più possibile il fronte di chi reagisce. Hanno preso il potere, ma questa arroganza, questa aria di regimetto é anche segno di debolezza e, non sembri paradossale, di minoritarismo. Mette l’elmetto, si chiude nel bunker chi non si sente forte. Per quanto acciaccate e divise, le forze che si riconoscono pienamente nei contenuti della Costituzione possono farcela. Del resto, c’è ancora domani.