Non una sola voce. Tutte. Questo è il servizio pubblico

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La radio nasce nel 1924. La prima radiocronaca di calcio è del 1928: Italia-Ungheria 4-3. La voce non è quella Nicolò Carosio, come si sarebbe portati a immaginare. Il primo radiocronista di calcio è Giuseppe Sabelli Fioretti. La storia delle radiocronache sportive è storia della radio. E proprio nell’anno nel quale si celebra il centenario della radio, la Rai immagina di scorporare la redazione sportiva di Radio1 e trasferirla altrove, in una redazione televisiva. Non è il regalo di compleanno che si attendevano i colleghi. Non è un regalo nemmeno il tentativo di scorporare dalla radio la redazione di Gr Parlamento che da molti anni, con serietà, pochi mezzi e tanti sacrifici tiene in piedi un canale nel quale è possibile ascoltare dirette dai luoghi istituzionali, per primo il Parlamento. Servizio. Anzi, servizio pubblico.

La logica della “ottimizzazione” non aiuta a capire le ragioni di scelte illogiche in termini editoriali. Per questo le giornaliste e i giornalisti di Radio1 oggi sono in sciopero. Radio1 è un canale “all news” dal 1994. Testata e rete coincidono. I giornalisti realizzano il Gr e gestiscono il canale. Un solo direttore e non due. Non solo: il beneficio più grande è quello di poter plasmare il palinsesto sulla cronaca, in diretta. Programmare ed essere pronti alle emergenze informative con grande elasticità. E con logiche giornalistiche.

Fosse questo ciò che da fastidio? Questa straordinaria autonomia gestionale di una redazione giornalistica? Il sospetto sorge scoprendo, giorno dopo giorno, che il Governo vorrebbe avere sempre più mano libera nelle scelte editoriali. Arrivando sino al paradosso inaccettabile della censura a Scurati.

Per questo i giornalisti Rai, sciopereranno – tutti questa volta – il 6 maggio prossimo. Per difendere autonomia e libertà. Per difendere il servizio pubblico da chi vorrebbe renderlo arrendevole, trasformarlo in megafono, cassa di risonanza e propaganda di una sola voce: quella del Governo.

Ma si da il caso che il canone lo paghino tutti i cittadini italiani. Indipendentemente dalle loro opinioni politiche o culturali. La Rai è di tutti, non solo di chi governa. I giornalisti in sciopero vogliono ribadire un concetto elementare: la società è plurale, l’informazione pubblica deve essere plurale. E mai, in nessun caso, si dovrà più silenziare una voce, come purtroppo è accaduto.

Vorrei dire a chi afferma, con impudenza, che l’editore della Rai è il Governo che sbaglia. Clamorosamente. E con arroganza. Gli editori sono i cittadini attraverso il Parlamento che loro stessi eleggono.

Il tema non è privatizzare la Rai, come qualcuno propone. Il tema è che la Rai e i suoi giornalisti devono essere messi in grado di fare servizio pubblico. E non servizio privato a beneficio di un governo, qualunque colore abbia.

Non una sola voce, dunque. Tante voci. Tutte.


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