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La pace di Zeus

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Che poi Olimpico innanzitutto è riferito a Zeus. E a Olimpia c’era la sua statua crisoelefantina, in oro e avorio, opera di Fidia, considerata una delle sette meraviglie del mondo antico. Immerge subito nella paganità usare questo aggettivo. Pensare alle Olimpiadi, che per la prima volta sono state disputate nel 776 a.C. e che vengono ricordate perché, secondo il rito tradizionale di quelle antiche, ancora oggi, ancora il 18 aprile scorso, sono state inaugurate quelle di Parigi 2024.

E’ tutto molto pagano eppure il primo a invocare la tregua olimpica, che nasce proprio nell’VIII sec. a.C., questa volta è stato il papa, seguito ancora pochi giorni fa dal presidente Macron. E non finisce qui la commistione tra sacro e profano che colpisce la pagana che è in me. Sarà che Zeus in greco, declinato, ad un certo punto si dice Dios, Dia. Diventa quindi una parola che conosciamo bene, che siamo abituati a sentir pronunciare dal pontefice. Sarà che il simbolo di questa tregua olimpica (Ekechiria nell’antica Grecia) è una colomba che porta nel becco un ramo di ulivo. Di nuovo una immagine che ben conosciamo.

Ha tremila anni questo tentativo pagano a cui hanno pensato papa e presidente francese per dare una opportunità alla pace a cento giorni dai giochi di Parigi, giorni in cui il conflitto tra Hamas e Israele sta conoscendo una escalation e anche l’aggressione russa in Ucraina è diventata più feroce. Lo sport sembra infatti poter svolgere un ruolo centrale nell’ abbattere le barriere e favorire la comprensione tra nazioni. In giorni in cui, da noi in Italia, si viene querelati se si studia la storia (e il riferimento “non olimpico” nel senso di non distaccato, non impassibile, per niente calmo è a un altro protagonista di questi tempi, Luciano Canfora), ci si chiede se la storia possa ancora ispirare azioni per affrontare sfide contemporanee.

La prima tregua olimpica nasce coi giochi, nel 776 a.C., e viene stilata tra Ifitos re dell’Elide, Cleostene re di Pisa e Licurgo re di Sparta. Mi piace ricordare i loro nomi così antichi, perché loro ce l’hanno fatta. Hanno permesso lo svolgimento delle Olimipiadi tra città spesso in guerra e Olimpia e la regione dell’Elide hanno ottenuto una sorta di immunità. Nelle settimane subito prima dei giochi gli spondophoroi partivano dalla regione dell’Elide con corona di olive e il bastone caduceo e annunciavano l’inizio della tregua. E signori: funzionava.

Ad un certo punto però la tregua viene dimenticata e bisogna aspettare il 1991 perché l’idea venga riesumata: le sanzioni, in seguito alla guerra nell’ex Jugoslavia, includono lo sport e il CIO, il Comitato olimpico internazionale , scende in piazza per negoziare con l’Onu la partecipazione ai giochi di Barcellona ‘92 degli atleti. Dal 1993 ad oggi l’ONU continua a supportare il CIO e ogni due anni adotta la risoluzione secondo la quale Stati e uomini sono invitati alla tregua sette giorni prima l’inizio dei giochi olimpici e sette giorni dopo la fine dei giochi paralimpici. Tale risoluzione, poi, è adottata per larga maggioranza e non all’unanimità e non ha un valore vincolante.

Non a caso in passato è stata disattesa e la cosa potrebbe ripetersi. Ricordo solo i giochi invernali di Nagano 1998 con le tensioni Turchia –PKK. Oppure, durante i giochi a Pechino nel 2008, l’invasione da parte dei russi della Georgia. Uno degli esempi meglio riusciti di quello che la pace olimpica può ottenere è stata invece la cosiddetta diplomazia del Ping pong tra Stani uniti e Cina negli anni Settanta. Ma per alcuni critici, chiamiamoli pure Soloni visto che stiamo parlando di antica Grecia!, i momenti di distensione come questo sono limitati e spesso sfruttati solo a fini propagandistici, non ci sarebbe un reale sforzo diplomatico.

Invece proprio sullo sforzo e sull’ impegno che spesso caratterizzano l’ intera vita di un vincitore olimpico voglio chiudere. Sul fatto che i giochi sono nati dalle faticose gare di corsa con le fiaccole per consegnare il fuoco alla sacerdotessa di Hera. E i giovani vincitori ricevevano in premio diversi quarti di bue destinati al sacrificio.

Sforzo e impegno richiedevano anche le gare di fiato, perché competevano pure araldi e trombettieri, erano atleti come gli altri.

Sforzo e impegno che, quando traditi perché l’ atleta barava, venivano puniti con la pubblica fustigazione con rami di ulivo.

E poi è vero che parlavo di distensione auspicata anche dal Papa in questi giorni di guerra. Però a me ha sempre colpito tantissimo , e lo voglio ricordare, il caso di una competizione vinta da un …morto! Perché in questo caso non ha trionfato l’ ideale della pace, d’ accordo. Il campione olimpico Arrachione di Figalio è ricordato perché nella lotta fu soffocato dall’ avversario. Riuscì però, con le ultime forze, a dislocargli la rotula, così il suo avversario alzò il dito in segno di resa. E subito dopo il ritiro del suo avversario Arrachione morì.

Non parla di pace questo aneddoto, d’ accordo. Però parla di comportamento onorevole che si deve tenere sempre, anche quando ci si scontra. Anche in tempo di guerra. Perché se no il tuo nome non viene ricordato. Come è successo all’ avversario di Arrachione.


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