La battaglia di civiltà che si combatte sul corpo delle donne

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Con un emendamento al decreto legge sul PNRR che aggiunge l’articolo 44-quinquies a firma Fratelli d’Italia, il governo Meloni tira il corpo letale alla già vituperata legge 194.

Nonostante Giorgia Meloni abbia detto più volte che non limiterà il diritto all’aborto, dall’inizio della legislatura sono state tante le proposte di legge o misure che, se approvate, di fatto minerebbero gravemente l’accesso all’Ivg. Diversi parlamentari di centrodestra hanno infatti più volte presentato proposte di legge per riconoscere i diritti della persona a partire dal momento del concepimento (e non dalla nascita, com’è ora legge), tra cui il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri e il senatore leghista Massimiliano Romeo nel 2022, così come il senatore FdI Roberto Menia a gennaio 2023. Queste proposte, anche se non toccano direttamente la legge 194, in quanto chiedono di modificare il rimo articolo del Codice civile, quello per cui la capacità giuridica viene acquisita dalla nascita, ne mettono però in discussione i principi fondamentali: tutelando giuridicamente embrioni e feti come se fossero persone già nate, l’Ivg delle donne verrebbe criminalizzata, al pari di un omicidio.

I tentativi di imitare l’aborto, però, non sono stati portati avanti solo a livello nazionale, ma anche a livello locale o regionale. A febbraio di quest’anno la Regione Piemonte guidata da Alberto Cirio di FdI ha raddoppiato gli stanziamenti per il Fondo Vita Nascente, gestito dalle associazioni Pro Vita, destinato alle donne in difficoltà economico-sociali. Dallo scorso luglio nell’ospedale S.Anna di Torino è stata quindi introdotta la “stanza per l’ascolto” in cui il Movimento per la Vita, associazione antiabortista religiosa, accoglie le donne che desiderano ricorrere all’Ivg per intervenire sulla loro scelta.

La Regione Lazio guidata dal centrodestra del governatore Francesco Rocca lo scorso marzo ha escluso i consultori dall’elenco di realtà che possono aiutare le donne incinte a fare domanda per il bonus mamma, perché secondo la giunta regionale non è di loro competenza, sostituendoli con i centri di aiuto per la vita, gestiti dalle associazioni antiabortiste. Secondo quanto cita il testo di legge, questo emendamento permetterebbe ai consultori di: “avvalersi del coinvolgimento di soggetti del Terzo Settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”, autorizzando di fatto la presenza delle associazioni antiabortiste cosiddette “pro-vita” nei consultori, minando così il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza e alla contraccezione e mettendo in discussione le scelte delle donne e delle libere soggettività che vi si rivolgono. Sino alla minaccia di far chiudere presidi territoriali fondamentali e punto di riferimento di periferie e zone abbandonate della capitale, o capisaldi storici per lavoratrici e studentesse come il consultorio di via delle Sette Chiese a ridosso dei lotti popolari della Garbatella, difeso in piazza più e più volte dalle cittadine e dai cittadini del territorio.

Poco più di un anno di governo dunque ma tante, troppe le volte che ha provato a limitare il diritto delle donne ad interrompere una gravidanza: la legge 194 prevede già di poter coinvolgere associazioni come quelle Pro Vita nei consultori, ma Alessandra Maiorino del M5s ha sottolineato come con l’approvazione dell’emendamento “si autorizzano le Regioni a dedicare ai pro-life una parte del denaro del PNRR destinati alla Sanità”.

Anche se in Italia l’aborto è un diritto tutelato dalla legge, nella pratica spesso non è stato così, a causa della carenza o totale mancanza di strutture adeguate e dell’elevato numero di medici obiettori di coscienza. Tutelare il diritto all’Ivg significa permettere a tutte le donne di accedervi senza subire discriminazioni, colpevolizzazioni, pressioni o doversi spostare per ricevere assistenza.

Al contrario, presentare proposte di legge che indeboliscono i servizi e le strutture per abortire e rafforzano invece il sostegno a realtà Pro Vita contribuisce a creare un clima ostile nei confronti di chi sceglie di ricorrere all’interruzione, rendendo di fatto più difficile l’accesso all’aborto.
Questo attuale emendamento riguarda tutti i consultori ma diventa particolarmente preoccupante nelle regioni a guida centro-destra: noi donne sappiamo fin troppo bene cosa vuol dire vivere in una regione dove il diritto all’aborto non viene garantito, come nella Regione Marche, dove la presenza di obiettori di coscienza rende praticamente impossibile l’interruzione di gravidanza e solo chi ha risorse e libertà di mobilità può raggiungere nosocomi extraregionali. Questo ulteriore passo va quindi a svuotare ancora più di senso la legge 194/78 – legge tra l’ altro di quasi mezzo secolo fa, mai realmente applicata e che necessiterebbe semmai di una seria riforma, non già di arretramenti – aprendo la strada ad associazioni che propongono violenze vere e proprie, quali obbligare a guardare il feto nel monitor ecografico o far ascoltare il battito a chi vuole o deve abortire.
Ma non finisce qui: al danno si unisce la beffa, per cui l’emendamento è proposto nell’ambito del PNRR che stabilisce la creazione delle case di comunità, su cui si sono sollevate trasversalmente non poche perplessità, nel terrore fondato che diventino un ulteriore strumento di privatizzazione della sanità pubblica e di trasformazione di presidi fondamentali come i consultori territoriali, unici, efficaci e preziosi presidi pubblici, gratuiti e laici di libera scelta di tutte le donne.
Se da un lato, tuttavia, il governo in carica e i partiti di destra si fanno promotori di queste antipolitiche sociali e dello sdoganamento degli antiabortisti, dall’altro anche i partiti di centro-sinistra sono stati complici di tutto questo: seppur portando avanti adesso un’opposizione di facciata, hanno realizzato miopi politiche senza mai mettere in discussione la parte della  legge 194 che ha consentito per quasi cinquant’anni l’obiezione di coscienza da parte dei medici.
Ci troviamo dunque a fare i conti con un arco parlamentare che cerca di minare i diritti e i servizi fondamentali per le lavoratrici, le precarie, le studentesse, le donne migranti e tutte le libere soggettività che, in un tragico quanto inesorabile risultato, subiscono gli effetti più gravosi e drammatici di queste politiche.

Il diritto all’aborto libero, gratuito e sicuro, la contraccezione gratuita per le giovani, l’accesso e l’utilizzo dei servizi offerti dalla rete dei consultori e dei centri anti-violenza sono tutti diritti che non possono e non devono essere delegati a nessuno, men che mai a chi nega la libera scelta sul proprio corpo. E oggi più che mai, come da sempre, sul corpo delle donne si combatte la più importante battaglia di civiltà.


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