“Stiamo scambiando un delitto per un diritto”. Il diritto è quello delle donne, di tutte le donne, di decidere del proprio corpo, il delitto è (sarebbe) l’aborto. Una frase di una gravità enorme, la sintesi dell’attacco insistente, sempre più violento, alla legge 194. Non arriva, però, dalla politica, che pure ogni giorno esercita pressioni inaccettabili, e l’Europa mette, giustamente, l’Italia sotto la lente di ingrandimento per alcuni decreti. A pronunciarle è una giornalista, una dirigente del servizio pubblico, e lo fa nel corso della stessa trasmissione in cui ha prima etichettato Antonio Scurati come “intellettuale militante” e poi disquisito sull’importanza (o meno) dell’antifascismo.
Sono parole che devono accendere un campanello d’allarme, l’ennesimo: 46 anni dopo la sua promulgazione, la 194 conserva una forza che, però, non può e non deve essere considerata per sempre. E, proprio per questo, va difesa.
Difesa da chi? Da chi si inventa un finanziamento a favore delle associazioni pro vita, e non pensate che sia una ‘novità’ di oggi: in Piemonte ci aveva già provato, nel 2010. la giunta a guida Roberto Cota, e nel 2022 le “pro-vita” hanno ottenuto riconoscimento e sostegno economico per poter operare nel servizio sanitario pubblico, in particolare nei consultori.
La 194 da tempo è al centro di un fuoco incrociato. E, invece, bisognerebbe conoscerla bene, perché va ben oltre la codificazione di un diritto e, invece, mette al centro l’autodeterminazione della donna, che grazie a questa legge cessa di essere in uno stato di minorità, in cui altri decidevano per lei, e il suo corpo si assoggettava a rischi di pratiche clandestine, medievali nella forma e nella sostanza.
Per il codice penale l’aborto non è un reato e non può esserlo neppure per chi è chiamato a fare informazione e, invece, attacca in modo violento una legge delle Stato e diritti acquisiti, garanzie di libertà.
(Nella foto Incoronata Boccia, la giornalista del Tg1 autrice della frase sull’aborto)
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