Chi decide di ospedalizzare autismo e neurodivergenze con trattamenti sanitari spesso immotivati, vanifica l’azione delle realtà sociali per la loro inclusione.
Con le ultime norme promulgate dalla Regione Lazio i ragazzi affetti da autismo verranno sradicati dalle case-famiglia in cui vivono e stringono legami sociali da anni per essere trasferiti chissà dove.
Tra chiusura dei consultori, gli operatori oepac nelle scuole non pagati e i rimborsi alle famiglie in perenne ritardo è evidente che il sociale sia l’ultima delle priorità di chi siede nei palazzi, eppure ci si aspetterebbe che almeno i più fragili tra i fragili restino comunque tutelati da quella che si definisce una società civile. I fondi, che sono stati confermati sino al 30 giugno e che permettono di pagare strutture e operatori che si occupano di loro 24 ore al giorno, non verranno rinnovati e queste realtà, in mancanza di altri mezzi di sostentamento, smetteranno di esistere. E allora i ragazzi che vi abitano dove li manderanno?
La soluzione delle istituzioni è una e ha un sapore antico e amaro, amarissimo: ospedalizzarli. Chiuderli in strutture con medici e infermieri pronti a riempirli di tranquillanti, i cosiddetti psicofarmaci “al bisogno” in cui il bisogno spesso non è del cosiddetto “paziente” ma di chi non ha i mezzi per prendersi cura di lui in altro modo. Ed ecco che se provano ad alzare la voce o si lamentano del piatto di minestra che viene loro “somministrato” arrivano iniezioni e gocce di tranquillanti.
Dal 2019 circa 90 persone nello spettro autistico e disabilità complessa sono state inserite in strutture residenziali e semi-residenziali avendo così la possibilità di vivere un percorso di vita ricco di stimoli, integrazione e interazione.
La delibera del 28 dicembre 2023, n.983 “Deliberazione di Giunta regionale 10 agosto 2023 n.501. Indirizzi per la continuità assistenziale di persone con disturbo dello
spettro autistico e disabilità complessa in strutture che prestano servizi socio- assistenziali dal 1 gennaio 2024” prevede una revisione del percorso progettuale di queste
89 persone in atto nelle strutture residenziali e semi-residenziali socio-assistenziali, con l’istituzione di unità di valutazione che individueranno le eventuali strutture socio-sanitarie in cui poterle ricollocare.
La volontà di pensare a una risposta sanitaria a bisogni di persone con neuro-divergenza ha un sapore di “vecchi” rimedi che vedono come unico punto di vista quello medico.
L’etichetta di malato che ha necessità di costante presenza di camici bianchi contrasta con il concetto di salute dell’OMS che la definisce, in un’ottica bio-psico-sociale, come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” non prettamente legato all’assenza di malattia. Prospettare l’interruzione di progetti di vita avviati, considerare possibile un trasferimento di persone già inserite in un percorso virtuoso, magari dopo anni di ricerca di una realtà
adatta alle loro esigenze a cui il sanitario non ha saputo rispondere, ci sembra frutto di decisioni prese a tavolino che ignorano reali dinamiche ed esigenze di persone di cui non si
conoscono storie e portati personali, forzandoli a rientrare in rigidi schemi stigmatizzanti e lontani dalla realtà, alla mercè di esigenze di bilancio.
La successiva determina G00O43 dell’8 Gennaio 2024, che nomina le suddette unità di valutazione, aggiunge la possibilità che alcune strutture socio-assistenziali presenti sul
territorio e che accolgono alcune di queste 89 persone possano essere convertite in “microstrutture residenziali socio-riabilitative di mantenimento”. Questo significa, nei fatti, snaturare realtà nate per contrapporsi alle uniche risposte presenti sul territorio, di stampo sanitario, altamente inadeguate e fortemente istituzionalizzanti.
Questo significherebbe trasformare le loro case e i loro quotidiani luoghi di vita in presidi medici e portarli a percepirsi pazienti e non più persone.
Inoltre, l’adeguamento comporterebbe un aumento dei costi per le realtà socio assistenziali a discapito dell’ operatività, quando per sopperire alle reali esigenze sarebbe sufficiente implementare servizi e corridoi preferenziali specializzati di accoglienza nei luoghi già preposti alla cura sanitaria per tutti.
“ I ragazzi affetti da autismo e neurodivergenti si esprimono in modo non convenzionale e hanno atteggiamenti che possono risultare eccentrici e particolari a chi non li comprende, per questo è importante che accanto a loro ci sia qualcuno in grado di ascoltare il loro linguaggio, accogliere le loro manifestazioni e fornirgli il supporto necessario con amore e pazienza, in grado di non arrendersi alle difficoltà e gioire di ogni loro passo avanti e di ogni loro sorriso” dichiara Clara Brugnettini, una delle responsabili di Oikos, una casa per vivere Onlus. Spiega come questi ragazzi amino andare in pizzeria, al bar, al cinema e al lunapark. Al mare, al lago e al bowling. In piscina, allo stadio e al centro commerciale: per loro è fondamentale fare tante esperienze diverse inseriti all’interno della società, per la loro piena inclusione. Questo è possibile, o almeno lo è stato finora, perché sono state formate intorno a loro delle equipe di persone affidabili, selezionate con cura. Preparate, sensibili e pazienti, inserite in un contesto che permette loro di lavorare al meglio per il sostegno e lo sviluppo di questi ragazzi, senza scorciatoie, anzi supportate da un elevato numero di operatori in turno coadiuvati da operatori di base, responsabili, coordinatori. In costante collaborazione con loro, le famiglie di origine, che restano il perno emotivo nella loro vita.
Lo gridano a gran voce i familiari di queste ragazze e ragazzi e le realtà sociali legate al mondo dell’ autismo in occasione del presidio del 9 aprile di fronte la sede della Regione Lazio: “Abbiamo già avviato un ricorso al TAR e faremo tutto il necessario per contrastare l’ottusità di queste pratiche aberranti e discriminatorie e invitiamo chi stia subendo la stessa ingiustizia a unirsi a noi. Saremo la voce dei nostri figli. La voce di chi non ha voce. Vogliamo camminare verso una società che integri la diversità come fonte di scambio e di ricchezza, che non etichetti la differenza come assenza o malattia. Vogliamo strutture accoglienti in cui le persone con fragilità vengano prese per mano in un percorso esperienziale in interazione con il mondo circostante, contro ogni tipo di ghettizzazione”.