“Il procuratore Melillo ha definito di enorme gravità la vicenda del cosiddetto dossieraggio. E Raffaele Cantone ha parlato di numeri mostruosi. Melillo ha detto che è ragionevole pensare a una rete di relazioni e non un’azione individuale. E Cantone ha detto che non si può escludere che siano entrati in gioco soggetti stranieri. Anche se ad ora non ci sono evidenze”. Al termine di due giornate di audizioni con il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo e con il procuratore capo di Perugia Raffaele Cantone, Walter Verini, capogruppo in commissione antimafia del Partito democratico, fa il punto con Huffpost sul caso dossieraggio.
Senatore, la premier Giorgia Meloni dà una lettura tutta politica di quanto sta emergendo dall’inchiesta di Perugia e dalle audizioni di Melillo e Cantone in antimafia. Dice che nella sostanza si tratta di un funzionario infedele che ha passato informazioni sensibili ai giornali di De Benedetti, “tessera numero uno del Pd”, e al “responsabile comunicazione” del vostro partito.
L’approccio della destra mi ha lasciato basito perché dimostra scarso senso dello Stato. Lei ricorda Meloni, ma io cito anche Claudio Borghi (ha accusato, delirando, il Pd e ha fatto bene Orlando a parlare di ‘cretinate’) e anche Maurizio Gasparri, che chiede il commissariamento della Procura nazionale antimafia. Ricordo alla Meloni che non siamo ad Atreju o a un comizio di FdI. Qui ne va della sicurezza del Paese, dei cittadini italiani, della loro privacy. E chi ha senso dello Stato, davanti a questa situazione non fa propaganda elettorale di basso livello. La Presidente del Consiglio non può dismettere i panni da premier. Purtroppo non bastano le affettuosità con Biden per essere una statista. Siamo di fronte a 35mila file estratti e spariti. E non sappiamo in che mani siano finiti. Io le faccio notare che la delega ai Servizi è in capo a lei, che l’ha delegata ad un sottosegretario.
Cosa dovrebbe fare Meloni?
In primo luogo, ripeto, dimostrare senso dello Stato. E mettersi subito al lavoro con senso di responsabilità. Perché Melillo ha parlato di attacco e rischi per delicati organismi statuali, come sono Banca d’Italia e la Dna. Perché siamo di fronte a un sistema di sicurezza che si dimostra vulnerabile e dobbiamo interrogarci sulle possibilità di prevenire altri rischi. Lo stesso Cantone non ha escluso che dietro questa attività abusiva ci possano essere ambienti e interessi anche stranieri. Se dovessero malauguratamente emergere profili di rischio per lo Stato, come la mettiamo? Detto questo, devo aggiungere che condivido lo scetticismo del collega Orlando: dubito – purtroppo – che questa destra saprá dimostrare la maturità che occorre.
La preoccupa questa mancanza di senzo delle istituzioni?
Al di là di questa vicenda specifica, ricordo che la recente relazione dei Servizi di informazione e sicurezza segnalava i rischi derivanti dalle interferenze di regimi come la Russia nella quotidianità della vita dei Paesi democratici anche in vista di scadenze elettorali. E le Europee sono un appuntamento elettorale decisivo, perché rappresentano lo scontro tra un’idea di Europa ispirata ai valori progressisti e di democrazia liberale e quella a trazione sovranista. Che potrebbe far piacere a Putin. Bisogna fugare ogni dubbio su possibili interferenze dall’estero”.
Veniamo alle questioni di merito. Cosa emerge a vostro parere dalle audizioni di Melillo e Cantone?
Un primo tema è che il sistema di cyber sicurezza del nostro paese si rivela debole, per certi aspetti obsoleto. Non siamo allo stato zero, ma è certamente una situazione preoccupante perché gli apparati informatici che afferiscono al sistema di giustizia e sicurezza in Italia si dimostrano vulnerabili al punto che possono essere a rischio dati che riguardano materie sensibili, persino indagini. Ricordo che Melillo già un anno fa in Antimafia aveva rappresentato l’esigenza di modernizzare il sistema delle piattaforme informatiche. Le mafie lo hanno fatto, hanno investito moltissime risorse in piattaforme criptate e gli organismi di contrasto devono avere la forza per ‘bucarle’. Ma siamo anche esposti.
Esposti ad esempio a comportamenti abusivi di un sottoufficiale della Guardia di Finanza, ma anche a ipotesi ben peggiori a quanto pare. Cantone ha detto che non era solo Striano, che ci sono stati 35mila download di file estratti e poi spariti, che gli accessi sono continuati anche dopo la denuncia di Crosetto.
L’altra grande questione è appunto la prevenzione di comportamenti anomali. Il sistema dei controlli. Melillo ha illustrato gli interventi da lui messi in atto per evitare che queste cose accadano e comunque se pure accadessero, per scoprirle in tempi rapidi, non a distanza di mesi o anni, col rischio che si cancellino tracce e chat, come è avvenuto. In questa prima fase di discussione è emersa l’esigenza di definire regole e norme per controlli quasi in tempo reale sugli accessi. Ci sono delle ipotesi, che ovviamente vanno verificate. Che possono far parte anche di un intervento normativo. Si ipotizza ad esempio la doppia firma, di un magistrato accanto a quella del funzionario, quando si esegue l’accesso. Oppure procedure di controllo quotidiano, anche con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale,in modo da sapere giorno per giorno quanti accessi sono stati eseguiti e da chi sono stati autorizzati.
Questo in via di prevenzione, ma sul caso in questione, come pensate di andare avanti?
Premesso che le indagini le fa la magistratura, e che sono in mano ad uno dei più seri e capaci magistrati italiani, come Raffaele Cantone, in Antimafia abbiamo programmato una serie di audizioni che possono aiutare a fare chiarezza. Abbiamo chiesto di audire il Comando della Guardia di finanza, dal quale ci aspettiamo di avere chiarimenti importanti su ruolo e profilo professionale di Striano. Chiediamo di sentire anche il direttore Unità informazioni finanziarie della Banca d’Italia e poi la Sogei e Giovanni Russo, oggi capo del Dap ma all’epoca incaricato da De Raho a fini di controllo sulla gestione del servizio della Dna dove operavano Striano e il magistrato Laudati. Chiediamo inoltre di sentire Federazione nazionale della stampa e ordine dei giornalisti.
Una parte di questa vicenda interessa anche i giornalisti. Pensate di audirli in commissione come hanno chiesto dalle file della destra?
Si tratta di una richiesta discutibile e avventata. In primo luogo perché rischierebbe di apparire come una forma di intimidazione (qualche dichiarazione di esponenti della destra ha avuto questo senso) e poi perché c’è il rischio di andare a interferire con le indagini condotte dalla Procura di Perugia. In Antimafia abbiamo adottato un metodo, che la presidente fa seguire: non accavallare le iniziative della Commissione con le indagini in corso. Ma a parte questo, il tentativo di criminalizzare la stampa è inaccettabile. Sia la stampa di destra che quella di sinistra. Ricordo che anche testate di destra, come La Verità da tempo pubblicano atti collegati e in qualche modo connessi a queste vicende. Diverso è invece interrogarsi insieme a Fnsi e Ordine su modalità e limiti della pubblicabilitá. Per me quando un giornale pubblica notizie vere, non smentibili, fa il suo dovere. Dopo di che si apre un tema. Se la pubblicazione, per esempio, fosse un rischio per la sicurezza del paese, o nascesse da documenti acquisiti in modo illegale, una riflessione andrebbe fatta. E mi pare che nelle redazioni sia già in atto. Ma stiamo parlando di confini deontologici, a parte eventuali aspetti penali. Sapendo sempre che la stampa è un contropotere fondamentale per la democrazia.
A proposito di questo, il senatore Gasparri sostiene che la Procura nazionale antimafia assomiglia ormai a una riunione di redazione. E chiede di commissariarla.
A questo mi riferivo quando parlavo di analfabetismo istituzionale. Delegittimare e indebolire la Procura nazionale antimafia è un pericolo enorme. Ed è irresponsabile. La Dna è un presidio importante per contrastare la criminalità organizzata. Ma non c’è solo carenza di senso dello Stato. Nelle reazioni della destra in queste ore c’è il filo rosso di questo anno e mezzo di governo del centrodestra. A partire dalla voglia di colpire l’indipendenza della magistratura. Il fastidio per ogni forma di contropotere, come quello rappresentato dal giornalismo d’inchiesta, il rifiuto del rispetto del principio della separazione dei poteri. Ma tornando alla Dna, indebolirla sarebbe un crimine. Oggi le mafie non sparano. Con i proventi di colossali narcotraffici, estorsioni, altre attività criminose, riciclano enormi quantità di denaro. Penetrano e investono nell’economia legale, nella finanza, nelle criptovalute. Acquiscono imprese, attività economiche, industriali, approfittando delle crisi e delle pratiche usurarie in crescita. Hanno dimensione globale. La legislazione e gli strumenti di contrasto italiani, da Falcone alla legge La Torre- Rognoni sono tra le più avanzate, dobbiamo rafforzare questi strumenti, anche in chiave di cooperazione europea e transnazionale.
Nel corso delle audizioni sono state citate due recenti misure in materia di giustizia, l’abolizione dell’abuso d’ufficio e le nuove norme sul sequestro degli smartphone.
Il dottor Cantone, ha nuovamente espresso le sue profonde riserve verso due architravi della politica della Giustizia di Nordio e del Governo. Abolire abuso d’ufficio è un rischio. Gli accessi che vengono contestati a Striano sono abusi, in quanto fatti da un pubblico funzionario. Cancellare quel reato indebolisce la lotta alla corruzione e ai reati contro la Pa. Le nuove misure sul sequestro degli smartphone in discussione al Senato, poi, aggravano in maniera irragionevole la stessa proposta di legge Bongiorno Zanettin. L’emendamento presentato dal relatore Rastrelli insieme al Governo complica, rallenta, chiama in causa il gip. Passano dei giorni. Cantone ha detto chiaramente che questa norma rischia di rendere più difficoltose indagini anche in casi questo tipo. Sarebbe necessario ascoltare quello che suggeriscono soggetti ed organismi che contrastano davvero la corruzione e i reati contro la PA, Quel tipo di abolizione dell’abuso d’ufficio è pericolosa e questo tipo di modalità di sequestro degli smartphone rischia di essere un intralcio a indagini delicate.
Altra richiesta della maggioranza, le dimissioni di Federico Cafiero De Raho dalla Commissione Antimafia. Voi avete fatto muro. Ma l’ex presidente della Procura nazionale potrebbe essere audito in commissione. Non c’è conflitto di interessi?
Non c’è incompatibilità, tant’è che – se non ricordo male – è già accaduto alcune legislature fa che commissari venissero auditi. Devo dare atto alla presidente Colosimo di aver tenuto un atteggiamento istituzionale. De Raho, quando era a capo della Procura, aveva segnalato inadeguatezze, aveva parlato della cyber security come frontiere di lotta alla criminalità organizzata. Ora è un parlamentare eletto. Può fare lui, se ritiene, una valutazione sul modo migliore e più efficace in cui partecipare ai lavori. Se poi la destra dice, come ha fatto, che il centrosinistra ha candidato negli anni tre ex procuratori nazionali antimafia, come Grasso, Roberti e ora De Raho rispondo che noi abbiamo candidato magistrati indipendenti per portare l’esperienza dell’antimafia e dell’impegno per la legalità in Parlamento. Purtroppo c’è chi ci ha portato condannati per associazione mafiosa.
(Nella foto Federico Cafiero De Raho)
Intervista di Afonso Raimo
Da https://www.huffingtonpost.it/