In sala dal 28 marzo con Medusa, il nuovo film di Riccardo Milani: una storia agrodolce dei nostri tempi, con al centro il tema dello spopolamento dei nostri bellissimi borghi di montagna, ma anche una storia di resilienza contro la rassegnazione.
“Nacqui a Pescasseroli il 28 giugno 1847. Crebbi colmo di miseria e nell’ignoranza, a motivo che a quei tempi scole elementari non esistevano e, nella scuola privata, mio padre non ebbe il potere di mandarmi. Era un misero pastore … di otto ani mi portai al bosco Pirinella a pasturare le pecore, unito a lui… nella capanna di pastori mi imparai a conoscere le lettere dell’alfabeto e, per istinto di natura ebbi un bel gusto di ascoltare le storielle popolari scritte in ottave: i racconti cavallereschi della Tavola rotonda mi davano molto da penzare. E così, nella mia idea, a pena cominciai a scrivere, scriveva versi ispirati dalla mia fantasia…” Cesidio Gentile detto Jurico, poeta pastore (28.6.1847-26.10.1914).
Michele Cortese (Antonio Albanese) è un maestro elementare che, frustrato da 20 anni di insegnamento in una scuola della periferia capitolina – tra alunni distratti e genitori dai modi irrispettosi e violenti nei confronti dei docenti – chiede il trasferimento temporaneo in una piccola scuola elementare dell’Alto Sangro, nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, intitolata a “Cesidio Gentile detto Jurico”, un poeta- pastore di Pescasseroli, coetaneo di Benedetto Croce.
La speranza del Maestro Cortese è quella di ritrovare in quei luoghi autentici, lontano dal logorio della grande metropoli, insieme alla passione per l’insegnamento, ormai svanita, quel ruolo di guida per le giovanissime generazioni.
Ma al suo arrivo in questo paesino di poche anime, si troverà di fronte alle prime difficoltà: da una parte, un clima quasi glaciale, inaspettato, che nei primi giorni affronterà con i mocassini e con una giacca improbabile – strepitoso l’incontro di sera per le strade buie ed innevate con un alce solitario – dall’altra, una scuola con un’unica classe, cosiddetta pluriclasse, formata da 7 bambini, tra i sette e i dieci anni, di 1^, 3^ e 5^ elementare, impegnati nei diversi programmi didattici, con un’unica insegnante stabile, la Maestra Agnese (Virginia Raffaele), con funzioni di vice-preside, ed un’altra maestra itinerante tra le diverse scuole dell’Alto Sangro. Con loro, Nunzio, il collaboratore didattico, cioè il bidello, quello di una volta, impegnato a garantire il buon funzionamento delle attività didattiche.
Un mondo a parte, dunque, dove, tuttavia, ben presto, ritroverà negli abitanti e nei suoi alunni quella sensibilità e spontaneità così agognata e che sopravviveva solo nei meandri della sua memoria, quella di un tempo che fu. Ma proprio quando il suo ambientamento a questa nuova realtà appare realizzarsi appieno, anche grazie agli affetti e ad una sessualità ritrovata, ecco la doccia fredda: la scuola dovrà chiudere a fine anno scolastico a causa della penuria di iscrizioni.
Cosa fare, dunque? Rassegnarsi all’ineluttabilità della chiusura della scuola e, con essa, alla certezza della scomparsa di quella Comunità che certamente ne seguirà, o reagire per cercare di contrastarla? E’ così che pian piano inizia a prendere forma nella mente della Maestra Agnese un piano impossibile che potrebbe scongiurare la chiusura della scuola, e con essa la scomparsa di quella Comunità, come, purtroppo, era avvenuto a Sperone, un paesino limitrofo, qualche anno addietro. Tutto ciò nella convinzione che la scuola costituisce l’elemento primario di aggregazione sociale dei suoi abitanti, in assenza della quale viene meno la stessa ragion d’essere della Comunità.
Ma per fortuna c’è chi resiste, la chiamano “restanza“, ed è quella di chi non abbandona la propria Comunità, il proprio paese, anche se lontano dai centri urbani, e nonostante la penuria di lavoro che a volte deve essere inventato.
Questo atteggiamento, questa “restanza”, coinvolgerà ben presto anche tutti gli abitanti di questo piccolo borgo dell’Alto Sangro e quello che sembrava essere un atteggiamento di arrendevolezza verso l’ineluttabilità degli eventi, si trasformerà ben presto in una voglia di riscatto che coinvolgerà tutta la Comunità.
Quella raccontata da Milani è una storia di coraggio, in cui è coinvolta un’intera Comunità che difende i propri luoghi, le proprie origini, i propri valori: luoghi incantevoli per i turisti del fine settimana e per i bambini nei periodi più miti, ma che nei mesi freddi ripiombano in una condizione climatica in cui anche le azioni più elementari, come ad esempio quella di spostarsi in auto, diventano, a volte, un’impresa, richiedendo ai suoi abitanti uno spirito di adattamento non comune.
Il lungometraggio di Milani, che mantiene un registro leggero pur mixando numerosi elementi drammatici, non ultima la guerra, è una storia contro la rassegnazione. I nostri protagonisti, a cui si affiancheranno il maresciallo dei carabinieri, il parroco, e tutti gli abitanti del paesino, sono accomunati in una lotta contro tutto e tutti, anche contro il Preside del Plesso, sindaco del vicino comune, che vorrebbe, con la chiusura della Scuola e la conseguente scomparsa del paesino, destinare il territorio a centri commerciali.
Una storia dei nostri tempi, dunque, ben nota al regista anche per le sue origini (Milani è nato a Pescasseroli) che nella sua drammaticità, quella dello spopolamento dei nostri bellissimi borghi, vuol essere, al contempo, un invito alla riflessione e una presa d’atto degli sforzi che in alcune parti del Paese vengono fatti dalle piccole Comunità per resistere alle difficili ed obiettive condizioni climatiche ed economiche.
Ma vuol essere anche un invito alle Istituzioni a non abbandonare questi luoghi ancestrali, che conservano la nostra memoria. Luoghi in cui gli abitanti, nei momenti cruciali, si compattano al di là delle differenze ideologiche ma anche culturali per il raggiungimento dell’obiettivo comune: la salvaguardia e la sopravvivenza di una realtà che va difesa a tutti i costi.
La grande cura dei dettagli fa di questo lungometraggio, a tratti drammatico e commovente, unita alla bravura e alla simpatia dei protagonisti (molto convincente l’interpretazione di Antonio Albanese e quella di Virginia Raffaele, perfetti nei loro ruoli), un vero e proprio gioiello, da custodire insieme al suo racconto.
La capacità di divertire e, insieme, di emozionare, è la cifra dei lavori di Milani. Essi “sono i due registri con cui cerco di costruire sempre dei film che aspirano a essere popolari ma che siano anche attenti alla realtà sulla scia della lezione della grande commedia all’italiana degli scorsi decenni. Sono sempre onorato quando si accostano i miei lavori a quei racconti agrodolci così straordinari. So che i film hanno una loro valenza al di là del genere a cui appartengono, hanno un valore di conoscenza, di attenzione, di sensibilità sui problemi del Paese. Io rincorro tutto questo da sempre…” ha dichiarato il regista.