Se persino il Papa diventa “putiniano”

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“Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore. Il più forte è chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca. La parola negoziare è coraggiosa. Non è una resa. Se vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, devi avere il coraggio di negoziare. Sì, hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia il mediatore. Nella guerra in Ucraina ce ne sono tanti. La Turchia, altri… E io sono qui… La guerra è una pazzia… C’è chi dice: è vero, ma dobbiamo difenderci. E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difendersi no: distruggere… C’è sempre qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi che significa soldi. Guardiamo la storia, le guerre che abbiamo vissuto: tutte finiscono con l’accordo”. A parlare così è stato papa Francesco, in concomitanza con una splendida giornata di mobilitazione per la pace in Ucraina e il cessate il fuoco a Gaza, dove il numero dei civili palestinesi uccisi cresce di giorno in giorno e la situazione è ormai fuori controllo. Naturalmente, persino contro il Pontefice si è levata una canea che non fa onore al mondo del giornalismo e della politica. Ora, è vero che, per lo più, si tratta dei soliti noti: personaggi in guerra col mondo, a quanto pare desiderosi di trascinarci nel baratro della Terza guerra mondiale o di veder annientato un intero popolo; fatto sta che non si tratta di figure ininfluenti o secondarie, pertanto sarà bene riflettere su ciò che sta accadendo.

Noi, storicamente, siamo nati per opporci a tutte le censure e i bavagli, chiunque fosse a proporli, e contro Putin abbiamo detto e scritto ciò che quasi nessuno aveva il coraggio di dire e di scrivere fino al 24 febbraio 2022, quando il despota di Mosca ha invaso l’Ucraina, risvegliando all’improvviso le coscienze di molti che non avevano battuto ciglio di fronte alle stragi compiute in Cecenia e ai delitti illustri dei due decenni precedenti. A maggior ragione, dunque, non possiamo tacere oggi, mentre vediamo un artista, discutibile quanto si vuole ma indubbiamente bravo, per il quale si invocano sanzioni che lasciano, oggettivamente, il tempo che trovano. E facendo presente che non ce l’abbiamo con qualcuno in particolare, ci teniamo a far sapere che non possiamo tacere di fronte a questo clima di maccartismo strisciante, di conformismo dilagante, di asservimento fuori controllo, di notizie oscurate, di cronisti che non possono svolgere il loro lavoro, di continue minacce che si aggiungono a quelle già in essere, ad opera delle organizzazioni criminali e di una classe dirigente che, talvolta, si commenta da sola, di querele temerarie e di altre mostruosità che riducono l’Italia a un paese nel quale non è più possibile far vivere pienamente i principî cardine della libertà d’espressione, ossia della Costituzione.

Sarà bene ribadire, quindi, un concetto che a troppi sembra sfuggire: noi non siamo in guerra. Dove per noi non intendo questo povero Stato, che di fatto sta partecipando a più di un conflitto senza aver mai chiesto al popolo cosa ne pensi (e dirlo non è populismo, altro termine abusato e ormai da accantonare), ma noi giornalisti. Noi non possiamo essere in guerra perché la guerra è nemica dell’informazione, e noi abbiamo il dovere di ripudiare la propaganda dell’una e dell’altra parte e di far luce su quanto sta avvenendo. Notiamo invece, con sgomento, che molti si sono calati in testa l’elmetto e continuano a stilare liste di proscrizione onestamente assurde, additando al pubblico ludibrio le poche voci che si ostinano, al pari di Francesco, a chiedere che prevalgano le ragioni del buonsenso e dell’incontro fra i popoli sulla logica disumana delle armi.

Un tempo, nella non certo esaltante Prima Repubblica, a esporre lo stesso pensiero del Papa erano personalità del calibro di Pertini e Berlinguer, ma anche Craxi e Andreotti, per non parlare di Moro, avevano una concezione dei rapporti internazionali assai meno unilaterale e volta a fare gli interessi italiani, senza per questo mettere in discussione alcuna alleanza. Oggi, al contrario, mentre il mondo sta subendo un cambiamento d’epoca, la globalizzazione liberista mostra chiaramente la corda, lo scenario globale è in rapida evoluzione e i BRICS ci chiamano a una sfida senza precedenti, che si può affrontare solo accettando l’idea di un policentrismo maturo e bilanciato, siamo costretti a subire gli attacchi di coloro che vivono ancora negli anni Novanta, che non hanno capito nulla della contemporaneità e che si arrogano il diritto di giudicare i buoni e i cattivi in base a parametri da asilo infantile, offendendo competenze di gran lunga superiori alle loro.

E così, non ci restano che manifestazioni bellissime come quella di ieri a Roma per far sentire la nostra voce. Noi, ribadiamo, non abbiamo mai avuto alcun rapporto con Putin; siamo antitetici a questo soggetto come chiunque sventoli il vessillo arcobaleno. Crediamo, tuttavia, che le guerre in corso stiano flagellando il genere umano e che l’attacco a Francesco sia parte di una strategia più ampia, volta ad avere una Chiesa che, anziché predicare il Vangelo, benedica i cannoni.

Non resteremo in silenzio, specialmente ora che alla bandiera bianca evocata dal Papa si contrappongono le bandiere nere dei tanti nazionalisti che in questo clima torbido prosperano e che già sognano un fronte dove mandare a morire i nuovi “ragazzi del ’99”.


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