Si intitola “Oltre gli sbarchi” il volume a cura del Centro Studi e Ricerche Idos in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici “S.Pio V” che si presenta oggi alle 16 all’Auditorium via Rieti, con l’intervento di Stefania Congia, direttrice generale Immigrazione e politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Analizzando l’efficacia e gli effetti delle politiche migratorie italiane a partire dal Testo Unico sull’immigrazione (l. 246/1998), con particolare attenzione alla gestione delle migrazioni economiche e alle questioni ad essa strettamente correlate, come l’integrazione e la cittadinanza, saltano agli occhi gravi criticità, causate da procedure contorte, meccanismi disfunzionali e previsioni irrealistiche, applicati per oltre un quarto di secolo. Criticità che rendono sofferenti non solo le condizioni di vita di moltissimi immigrati, mantenendo precario il loro status giuridico anche a dispetto di un pluriennale radicamento, ma anche il tessuto sociale, economico e culturale del Paese, che – pur indebolito – preclude loro una partecipazione piena e attiva, inibendo le loro potenzialità e compromettendo il loro senso di appartenenza.
La rigida saldatura del permesso di soggiorno al contratto di lavoro, in fase sia di primo rilascio sia di rinnovo, unita alla contestuale abolizione del permesso di ingresso per ricerca lavoro, varati dalla cosiddetta “legge Bossi-Fini” del 2002, non solo ha dato un grande potere coercitivo ai datori di lavoro, e quindi la stura a gravissimi abusi, ma ha condannato moltissimi soggiornanti per lavoro a perdere il titolo, non essendo nelle condizioni di esibire un contratto in essere al momento del rinnovo del permesso.
Non è un caso che la sacca di stranieri in condizione di irregolarità giuridica resti da anni fissa intorno al mezzo milione di persone. Solo nel 2022 gli irregolari – secondo Ismu – sono scesi a circa 458.000 (erano ancora 506.000 nel 2021), grazie agli effetti di riassorbimento, piuttosto tenui, della regolarizzazione del 2020, proceduta con sfiancante lentezza e non ancora portata a termine: a maggio 2023, delle 207.000 domande presentate dai datori di lavoro 3 anni prima, soltanto 65.000 (31%) avevano terminato l’iter con il rilascio di un permesso per lavoro, mentre un altro 15% ha conosciuto un definitivo rigetto. A conferma dell’effetto di breve durata delle regolarizzazioni di massa varate una tantum (le emersioni, se non supportate da solide tutele e condizioni contrattuali, restano labili: gli immigrati che ne beneficiano possono ricadere nel sommerso già alla prima scadenza del permesso, essendo nel frattempo decaduto il rapporto di lavoro regolarizzato).
Né va meglio il sistema di espulsione degli irregolari dal territorio: a fronte della suddetta sacca di 458.000 irregolari, nel 2022 quelli intercettati e raggiunti da un provvedimento di espulsione sono stati appena 36.770, di cui solo l’11,7% effettivamente rimpatriato (4.304 persone), a fronte del 15,1% nel 2021 e del 13,7% del 2020; mentre dei migranti transitati, lungo il 2022, in uno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) sparsi sul territorio nazionale (6.383: +45,5% rispetto ai 4.387 del 2021), ad essere rimpatriati sono stati solo il 49,1%.
Alla luce di una verifica fattuale delle politiche e della governance delle migrazioni economiche in Italia, IDOS ha elaborato una agenda di auspicabili riforme nazionali in materia di politiche e gestione delle migrazioni, organizzata per ambiti tematici.
Tra i punti più innovativi delle proposte di revisione, spiccano:
– la abolizione dello status di irregolarità giuridica dei non comunitari (da cui deriverebbero la decadenza del “reato di clandestinità”, l’abrogazione del provvedimento di espulsione e della detenzione amministrativa e, quindi, l’abolizione dei Centri di permanenza per il rimpatrio), da realizzare mediante l’estensione fino a 5 anni della durata dei permessi di soggiorno per lavoro e famiglia (così da passare poi, senza ulteriori rinnovi, o al già previsto permesso Ue di lungo-soggiorno o all’acquisizione della cittadinanza italiana per naturalizzazione);
– l’istituzione di un permesso annuale di reinserimento socio-occupazionale (che consentirebbe l’ingresso in appositi programmi di reintegrazione) e un piano di completo riassorbimento della sacca di irregolarità mediante il rilascio di tale permesso;
– la revisione dei meccanismi di ingresso e soggiorno per motivi di lavoro, che si basi su una programmazione triennale delle quote pienamente rispecchiante il fabbisogno effettivo del mercato, da effettuare ripristinando il permesso di ingresso per ricerca lavoro sotto sponsor (opportunamente aggiornato), connettendo la chiamata nominativa dall’estero a corsi di formazione pre-partenza da effettuare nei Paesi d’origine o di transito, ripartendo le quote annuali in sotto-quote dedicate a specifiche casistiche e abolendo sia l’ordine cronologico di presentazione delle domande di rientro nelle quote (click day) sia altri inutili obblighi previ imposti ai datori (la verifica dell’indisponibilità di lavoratori italiani presso i Centro per l’impiego e l’onerosa produzione dell’asseverazione di sostenibilità economica);
– la acquisizione della cittadinanza italiana o per naturalizzazione, dopo 5 anni di soggiorno regolare, o, nel caso dei minorenni, alla nascita o all’arrivo in Italia, eventualmente come seconda nazionalità insieme a quella trasmessa dai genitori stranieri, con il diritto di scegliere se mantenerla o rinunciarvi quando abbiano compiuto la maggiore età (invertendo la ratio attualmente in vigore per i neo-maggiorenni).
“Questa agenda virtuale di proposte di riforma delle politiche migratorie nazionali, che contiene vari spunti innovativi rispetto alle pur notevoli direttrici di revisione già da tempo circolanti, rappresentano – dice Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS – il risultato di una riflessione originale condotta sull’analisi scientifica del fenomeno. Con questo documento, si intende contribuire attivamente all’attuale dibattito pubblico sul tema, fornendo spunti derivanti dalla rigorosa e sistematica rilevazione, ormai ultratrentennale, degli effetti delle politiche sulla vita concreta dei migranti che arrivano e vivono in Italia”.
“Parlare di migrante economico per distinguerlo dal migrante che fugge dal proprio paese per guerre, epidemie, carestie, persecuzioni razziali o religiose, soprattutto se tale distinzione voglia stressare il timbro di una assurda contrapposizione, sembra inappropriato e analiticamente infecondo. Occorre in realtà chiedersi dove si ponga drammaticamente il problema di una situazione economica insostenibile. E la risposta non potrebbe non essere che evidentemente la tragedia economica si situi proprio là dove attecchiscano in maniera più aspra appunto guerre, carestie, epidemie, persecuzioni di ogni tipo. Forse perfino Hans Kelsen avrebbe seri problemi di confezione della categoria giuridica più appropriata all’interno della sua “dottrina pura del diritto”. E, una volta assodato tale scoglio concettuale, come ci si mette con l’effettività delle norme, cioè con la loro concreta applicazione se tale pasticcio giuridico le renderebbe irreversibilmente, perché viziate nella loro confezione a monte, inapplicabili? E in questo caso come poter legittimare (ardua intrapresa teorica) lo stesso ambiguo concetto che le ha precedute a monte attraverso un’ impossibile petizione di principio? E qui invero sembra riposare tutta l’ambiguità di un concetto che non riesce a dar conto della realtà di un fenomeno tanto tragico quanto complesso” conclude Paolo de Nardis, presidente dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.