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Paolo Taviani, l’ultimo grande del cinema democratico italiano

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Per capire come i valori della costituzione, della repubblica nata dall’antifascismo, della libertà e dei diritti che ha caratterizzato per 50 anni il cinema di Paolo e Vittorio Taviani bisogna prima di tutto conoscere la loro terra. Quella zona di San Miniato, quelle colline al confine fra la provincia di Pisa e di Firenze, dove ancora oggi ogni famiglia ha il ricordo di un parente ucciso dai nazifascisti. Una zona bellissima dove, in mezzo agli ulivi e alle faggete, purtroppo capita perfino adesso di ritrovare, scavando, scheletri di autentici martiri della resistenza che nei drammatici mesi dopo l’8 settembre del 1943 fino all’aprile del 1945, pagarono con la vita il rifiuto di andare con le armate fasciste di Salò.

Paolo e Vittorio Taviani, figli di un avvocato perseguitato dal regime, che negli anni della guerra avevano sofferto la fame, le malattie, il dolore, appartenevano a quella meravigliosa gioventù che si affacciò alla nascita della repubblica con tutto l’entusiasmo e la passione dei ventenni che sapevano di avere la libertà e la democrazia davanti a loro.

Non volevano diventare avvocati, andarono a Pisa a formare un primo cineclub e a produrre filmini in superotto. Pian piano si fecero coraggi, da buoni toscani timidi e sfrontati al tempo stesso, andarono a presentarsi a Zavattini. Essere in due non fu mai un problema, fu la loro forza. Cominciò così una storia bellissima che ci ha regalato film indimenticabili, spesso più amati all’estero che da noi, ma che in Italia hanno lasciato un segno profondo su almeno un paio di generazioni.

Paolo Taviani era un uomo coltissimo, di poche parole, come suo fratello, ma maestro nel sangue, al punto di aver fatto scuola di recitazione, con risultati esaltanti, al gruppo di detenuti che furono poi protagonisti di “Cesare deve morire”, memorabile pellicola girata in bianco e nero nel 2012 e che gli regalò l’Orso d’oro a Berlino.

L’immagine che consegna alla storia la cinematografia dei Taviani resta però la battaglia nei campi di grano di San Miniato fra gli uomini della resistenza e l’esercito nazifascista, con l’onirica scena del giovane trafitto da lance e frecce al centro di una sterminata pianura dorata dove nel fondo si intravedono il duomo e a torre federiciana del loro paese. E’ un racconto fantasioso di un episodio controverso della resistenza, quello dei 55 morti del duomo di San Miniato. I Taviani, come in “Allosanfan” o in “San Michele aveva un galo”, sapevano unire il sogno, la narrazione cinematografica al ricordo di episodi, personaggi, eventi realmente accaduti. E sapevano anche tradurre in film di tipo neorealistico romanzi come il celebre “Padre padrone” di Gavino Ledda. Chi lo ha frequentato di recente parla di una persona preoccupata per la piega che sta prendendo il governo italiano. Lo diceva ricordando la sua adolescenza in una famiglia perseguitata dal regime in uno degli angoli più belli della Toscana.


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