Alba de Céspedes, tra le varie autrici dimenticate del Novecento, è stata quella prima recuperata in questi anni grazie all’importante volume di saggi curato da Marina Zancan “Alba de Cèspedes”, alla pubblicazione del Meridiano Mondadori a lei dedicato e alle varie ripubblicazioni negli ultimi anni delle sue opere, proposte dalla Mondadori, che era stata la sua storica casa editrice. C’era tuttavia un vuoto relativo alla sua biografia, vuoto che la casa editrice Ponte alle Grazie ha individuato commissionando il lavoro a Michela Monferrini – come lei stessa racconta in un’intervista – che ha scelto la strada del romanzo biografico. Ha creato la finzione di una giovane studentessa, Léna, che a Parigi, tra il dicembre 1990 e l’aprile 1991, intervista la scrittrice: sette capitoli di dialogo, che servono comunque a chiarire sia importanti punti di vista di De Céspedes sulla scrittura, come il rapporto romanzo – autobiografia, sia importanti eventi della sua esistenza. Ai dialoghi si alterna il racconto della vita della scrittrice, narrata in terza persona, attraverso i ricordi che la conversazione con Léna ha stimolato e fatto riemergere.
Come afferma Monferrini, al di là dell’ invenzione della cornice in cui è inserita la narrazione, le notizie che fornisce sulla vita di Alba sono documentatissime e attinte ai Diari e alle carte d’archivio curate e ordinate in vita dall’autrice stessa e per sua volontà depositate presso gli Archivi Riuniti delle Donne di Milano. Ampio spazio è dedicato nel testo alle origini di de Céspedes, che appartiene a una grande famiglia di possidenti e politici cubani. Suo nonno è Carlos Manuel de Céspedes y del Castillo, primo Presidente in armi contro gli Spagnoli e padre della patria; suo padre Carlos Manuel de Céspedes, per un breve periodo Presidente poi, sfuggito ad un attentato, diventerà ambasciatore cubano. Alba nasce a Roma nel 1911 dal travolgente amore tra Carlos Manuel e Laura Bertini Alessandri, una ricca borghese romana; entrambe hanno un matrimonio e rispettivamente un figlio e una figlia alle spalle. Alba sarà chiamata così perché deve segnare per i genitori l’alba di una nuova vita famigliare. In realtà, quando la bambina avrà tre anni, i genitori partiranno per la carriera diplomatica del padre affidando la sua crescita e la sua educazione alla zia materna Maria e a un’istitutrice. Alba trascorrerà l’infanzia tra Roma e Parigi, quando raggiungerà la zia Gloria e ciò, insieme all’ascendenza cubana, favorirà il formarsi di un suo animo cosmopolita: le sue lingue saranno l’italiano, il francese e lo spagnolo. Ma soffrirà presto anche di un senso di esclusione dal rapporto coi genitori e manifesterà una propensione alla solitudine, che sarà anche la condizione che la predisporrà alla scrittura. Come l’amore per la lettura, anche quello ancora più prepotente per la scrittura si manifesterà precocemente, quando a sei anni zia Maria, che l’ha sorpresa a incidere delle parole su delle foglie, le regalerà un quaderno e subito Alba comporrà una poesia “La notte” che stranamente, se si pensa al contesto privilegiato in cui vive, parla di donne povere, vestite di panni logori che a notte nelle grotte in cui vivono mettono i figlioletti a dormire. Lodata dalla zia e dal padre, lei vivrà con un senso di rivelazione e di mistero quell’ esperienza e si chiederà se come il nonno potesse diventare poeta. Da allora in realtà non smetterà più di scrivere: quaderni, diari, racconti, romanzi. In seguito si stupirà di quanto a sei anni avesse rivelato di sé: la propensione per la notte, l’interesse per le donne e i bambini e il bisogno di scrivere.
La scrittura sarà la spinta incoercibile che guiderà la sua vita e in questo il padre, che lei definirà sempre la persona fondamentale della sua vita, sarà colui che la sosterrà e l’autorizzerà rispetto alla volontà di diventare una scrittrice. Dopo il fallimento del precoce matrimonio a quindici anni con il conte Giuseppe Antamoro e la nascita dopo due anni del figlio Franzi, sarà il padre ad aiutarla economicamente per poter coronare il sogno di diventare scrittrice, alla condizione che riesca a realizzarlo e a rendersi indipendente entro due anni. Alba lavorerà instancabilmente, non lasciandosi scoraggiare nemmeno dal dover condizionare il rapporto con il figlio, che per poter scrivere affiderà a una bambinaia e col quale recupererà in seguito il rapporto. Cominciano le collaborazioni con i giornali, la pubblicazione di racconti, fino al successo imprevisto e straordinario del primo romanzo “Nessuno torna indietro” nel 1938. Aveva già conosciuto il carcere delle Mantellate per un presunto reato contro il fascismo, forse una conversazione telefonica in cui si esprimeva contro la guerra di Abissinia; ma sarà dopo l’uscita del romanzo che conoscerà la censura fascista che lo escluderà dal premio Viareggio e ne bloccherà la ristampa; il libro tuttavia sarà fatto circolare comunque con espedienti dalla casa editrice. Tra le pagine più avvincenti della biografia di Monferrini ci sono certamente quelle che rievocano la sua fuga da Roma nel settembre 1943, come avvenne per altri intellettuali invisi al regime, insieme al suo nuovo compagno e poi marito, il diplomatico Franco Bournous. Si narra la fuga in Abruzzo e i difficili trentasette giorni trascorsi in nascondigli in montagna tra difficoltà materiali e gravi rischi, poi l’attraversamento delle linee nemiche guadando il fiume Sangro fino a raggiungere Bari. Qui opererà nella sua attività di resistente presso l’Ufficio stampa del Comando supremo degli Alleati: ogni sera alle ventitré andava in onda la nuova trasmissione “L’Italia combatte” in cui si faceva propaganda contro l’invasore tedesco, dando aggiornamenti sulla resistenza partigiana, trasmettendo operazioni in codice, denunciando i delatori con precisione di particolari. Alba col nome in codice di “Clorinda”, simulando un leggero accento toscano per non essere riconosciuta, si rivolgeva a tutti, ma in particolare alle donne, raccontando, consolando, esortando, spiegando come ognuno, anche boicottando con piccoli atti, potesse nuocere al nemico.
“L’Italia combatte” si trasferirà a Napoli ed anche Alba e Franco, lì saranno mesi duri in una città devastata. Monferrini ci parla anche dei dubbi che Alba comincia a nutrire sulla sua attività, del riaffacciarsi in lei del desiderio prepotente di avere un tempo tutto suo per la scrittura e nel contempo del suo entusiasmarsi a un progetto, suggeritole da Benedetto Croce, di contribuire alla grande rinascita della cultura in Italia . Dopo nove mesi dalla loro partenza Alba e Franco ritornano a Roma e qui prenderà corpo il grande progetto di “Mercurio”, la rivista mensile di politica, arte e scienza che assorbirà completamente Alba per quattro anni e chiamerà a collaborare i maggiori intellettuali dell’epoca: “Alba voleva che <<Mercurio fosse messaggero di altre parole, di altre storie. Voleva mettersi alle spalle tutte le occasioni in cui Clorinda aveva dovuto trascrivere i nomi dei fascisti o dei collaborazionisti … Alba desiderava con tutta se stessa uscire dal clima fazioso che la guerra aveva prodotto”. La biografia di Monferrini dà conto della genesi delle principali opere, della copiosa collaborazione giornalistica, della produzione di sceneggiature, attività rese necessarie anche dalla mutate condizioni economiche di Alba in seguito sia alla separazione dal marito sia alla confisca dei beni familiari all’Avana in seguito alla rivoluzione castrista. Le molte esperienze della sua vita, da privilegiata e ricca borghese a donna indipendente che deve vivere del suo mestiere di scrittrice, sempre attenta osservatrice della storia e della vita e dei sentimenti delle donne la porteranno a dare testimonianza nei suoi lavori dei passaggi dell’Italia del dopoguerra, della crisi degli intellettuali dell’epoca, dei loro interrogativi sulle prospettive della scrittura e del romanzo. Soprattutto saprà cogliere e mostrare le contraddizioni che lacerano la vita delle donne in grandi romanzi come “Dalla parte di lei”, “Quaderno proibito”, “Il rimorso”, “Prima e dopo”, nei quali non troviamo solo la documentazione di un’epoca, ma anche le radici di problematiche che le donne metteranno sempre più a fuoco negli anni successivi al suo lavoro. Estranea per generazione sia all’emancipazionismo del primo Novecento sia al femminismo degli anni Settanta, si pone a lato di quegli itinerari emancipativi che tuttavia racconta nei suoi personaggi con un’acutezza che li rende a volte ancora attuali. Il tema della soggettività femminile è una costante dei suoi personaggi narrati con uno stile che rimodula continuamente e che riesce ad andare oltre la parzialità dei contenuti. De Céspedes lavora con grande impegno alla ricerca di uno stile capace di andare al di là dei contenuti perché “ non è l’intreccio – sostiene – ma lo stile che attraversa il tempo”.