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La ragion di Stato e le ragioni di Giulio

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Nel resoconto fornito dalla Presidenza egiziana circa l’incontro di Abdel Fattah al-Sisi col capo del Governo italiano, Giorgia Meloni, non si trova traccia del cosiddetto caso Regeni, ossia della impossibilità di rintracciare, tramite formali notifiche, gli 007 egiziani che hanno torturato e ucciso il giovane ricercatore italiano a Il Cairo esattamente otto anni fa e nemmeno della gravissima violazione dei diritti civili in questa storia, dove lo Stato egiziano ha colpe che lo sommergono.
Oggi prosegue il processo e poche ore fa, a margine del bilaterale in Egitto incentrato essenzialmente sulle politiche migratorie, Meloni ha detto che “l’Italia pone tendenzialmente sempre questa questione. Dopodiché – ha aggiunto la premier – come sapete c’è un processo in Italia in cui noi siamo andati avanti a fare quello che dobbiamo fare, e il lavoro che stiamo facendo non cambia la nostra posizione sulla materia”. Le cose non stanno esattamente così perché la magistratura italiana sta portando avanti un processo difficile, soprattutto grazie alla battaglia della famiglia senza alcuna grande collaborazione delle altre istituzioni italiane. Ad aprile dello scorso anno, su conforme parere dell’Avvocatura dello Stato, fu rifiutato al giudice del Tribunale di Roma di sentire come testimoni la Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il processo per la morte di Giulio Regeni è potuto arrivare allo stato in cui è, ossia al dibattimento davanti alla Corte d’Assise di Roma, per il quesito proposto dal legale della famiglia, l’avvocato Alessandra Ballerini, e portato davanti alla Corte Costituzionale che a ottobre 2023 ha stabilito che il procedimento poteva andare avanti anche senza le notifiche formali agli indagati.  Solo dopo la stessa Avvocatura si è costituita parte civile per lo Stato italiano e nella memoria ha parlato di crimine orrendo in relazione a quanto accaduto al ricercatore italiano.


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