Da un mese le porte dell’aula magna del liceo Tito Lucrezio Caro di Roma sono sempre aperte: ci entra l’aria a spazzare via l’odore persistente di pittura. Ci entra anche il sole, di sbieco, che da questa settimana sbatte contro la tenda blu, confezionata apposta per coprire il Murale di Ilaria e Miran. Sarà inaugurato a 30 anni esatti dal loro omicidio, il 20 marzo. Da quel giorno, insieme alla targa “Ilaria Alpi” che intitola la stanza, ci sarà quella parete: un ricordo permanente e ingombrante per una richiesta di verità e giustizia altrettanto permanente e ingombrante. Questo deve essere e sarà finché non si potrà scrivere la parola FINE.
L’idea del 20 marzo è nata così.
Poi, giorno dopo giorno, con l’aria e il sole son cominciati ad entrare di soppiatto anche i ragazzi, per sbirciare, curiosare, spoilerare le pennellate di Alessandra Chicarella, sempre “appesa” lì a far sposare il suo bozzetto pieno di blu ed azzurro, ispirato al tema della “stella di Ilaria” che illumina la ricerca della verità, con il soffitto di quell’aula, già blu. Proprio uguale, un destino.
Entravano ed erano pieni di domande e un po’ di confusione.
L’idea del 14 marzo è nata così: una mattinata “lectio et testimonia”.
Domani i ragazzi ascolteranno il ricordo di Flavio Fusi, a lui spettò il compito di annunciare la morte dei due giornalisti in diretta. Era un collega di Ilaria, ne conosceva il sorriso e la tenacia ma soprattutto la passione per quel mestiere che per lei era ricerca di verità.
Ascolteranno questo e, attraverso il racconto di Mariangela Gritta Grainer, membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla cooperazione con i paesi in via di sviluppo e referente del movimento “#NoiNonArchiviamo”, anche 30 anni di depistaggi, disinformazione e calunnie, operate da sconosciuti come da uomini di Stato che hanno negato, ai familiari e agli italiani, la giustizia sull’uccisione dei due giornalisti.
Con Elisa Marincola, portavoce di Articolo21, sapranno però che, accanto ai genitori di Ilaria, c’è sempre stata una comunità che non si è mai arresa, sfiancata dagli esiti delle aule di giustizia o accomodata su verità parziali. Una comunità che ieri, come oggi, chiede.
Scopriranno che si può fare la differenza, come hanno contribuito a farla tanti giornalisti, com’è riuscita a farla Chiara Cazzaniga, inviata di fiuto di “Chi l’ha visto?” che riuscì a far scarcerare l’unico condannato per questa vicenda, un innocente, dopo 18 anni passati in carcere.
Forse capiranno che questa vicenda riguarda pure loro, anche se non c’erano. Perché se la verità rende liberi, senza quella sulla morte di Miran e Ilaria, paradigma di tante storie che l’aspettano, anche loro sono un po’ meno liberi.
Forse intuiranno che questa battaglia la possono e vogliono condividere proprio perché ci sono, oggi in questo Paese che finché nega la verità, sarà sempre un po’ meno civile.