Se c’è un uomo politico che ha dato un serio contributo all’impegno politico-militare per l’Ucraina è stato certamente l’ex presidente Mario Draghi. Io ho condiviso le sue scelte e ora che leggo con i dittatori non si deve trattare, come in certo senso deriva dalla dottrina Biden, mi sono ricordato di quanto proprio Mario Draghi disse al riguardo del presidente turco Erdogan: “ Con questi dittatori, di cui però si ha bisogno, per collaborare uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese, bisogna trovare l’equilibrio giusto”. Io credo che avesse, purtroppo per lui e per me, ragione. Se infatti è giusto che le opposizioni ai dittatori ci chiedano di non trattare con loro, va anche tenuto presente che certamente dovremmo escludere dai nostri possibili interlocutori oltre alla Russia anche la Cina, l’Iran, la Tunisia, l’Egitto, l’Arabia Saudita, la Siria, l’Iraq, l’Algeria, tutto il Sahel, il Venezuela, Cuba, e ovviamente la Corea del Nord, e probabilmente ( formalmente c’è qualche dubbio) l’India e molti altri ancora. I dittatori non si scelgono a proprio piacimento. Ma così ci sia di rispettoso dei diritti umani ( che poi è un cardine delle democrazie) nelle nostre politiche migratorie devo ancora capirlo.
Mario Draghi, da vero civil servant, ha posto il problema della tutela dell’interesse nazionale da una parte e della franchezza nel relazionarsi con loro. Questa franchezza non la trovo né negli occidentalisti che raramente definiscono come si dovrebbe di alcuni loro scomodi interlocutori, né nei pacifisti che fanno la stessa cosa, ma nei confronti di chi a parole si oppone “all’egemonia occidentale”.
Papa Francesco, una volta capito che la guerra giusta non reggeva più, aveva indicato l’esigenza di definire la “nonviolenza attiva”, e qui attiva è parola decisiva, perché quando ti sparano addosso, o ti uccidono in prigione, essere attivi è molto complicato. Per me la nonviolenza attiva è la vera bussola per l’oggi: non vuol dire rinunciare alle armi, ma non usarle come fanno gli altri, senza rispetto per i civili, o colpendo indiscriminatamente intere comunità, o ricorrendo a rappresaglie. La resistenza popolare, meglio spiegata rispetto al poco che ho indicato, per me è parte integrante della “nonviolenza attiva”. La resistenza popolare rispetta la dignità umana del nemico. Credo sia anche in quest’ottica che Francesco ha detto al riguardo dell’Ucraina e della loro lotta che “chi difende ama”! Infatti non ha mai detto di non armare l’Ucraian ( e meno male, non ne ha fatto una guerra di religione come ha fatto Kirill), ma ha demandato la scelta alla Chiesa locale, ovviamente favorevole, ma come Chiesa locale, appunto. Nessuno da Roma però ha detto che “Mosca è il male”, come da Mosca i vertici della Chiesa locale hanno detto che la sovranità dell’Ucraina e l’Occidente sono il male.
Purtroppo però la discussione sulla nonviolenza attiva è stata demandata al futuro, forse anche per la necessità di approfondimenti teologici, e così – nonostante la sua profetica intuizione- si è rimasti in un ambito di “guerra di difesa proporzionata” e dal possibile successo. La guerra di difesa proporzionata è chiara e facilmente condivisibile. Il punto del suo possibile successo è il punto complesso, perché non credo che ci sia un regolatore ufficiale delle possibilità di successo, senza contare poi che il tradimento da parte del resto del mondo o di sue parti è sempre possibile, soprattutto se entrano in considerazione, come spesso accade, i servizi segreti. Il compito dei pacifisti sarebbe oggi quello di elaborare, meglio di me ovviamente, idee sulla nonviolenza attiva, soprattutto nel quadro della dottrina relativa alle rivolte interne, visto che la Chiesa legittima il tirannicidio, ma avverte dei suoi rischi. Altra cosa è la guerra difensiva davanti all’invasore.
Questi nodi si accavallano con quelli dell’opportunismo politico, con certi bellicisti che scelgono il conflitto che a loro più aggrada per esercitare la virtù della “coerenza”, e alcuni ambienti pacifisti che rimangono vittime in Occidente di un anti-occidentalismo che rimuove o non vede altri insopportabili imperialismi. Queste non aiuta il papa che rifiuta di assumere i panni del chierichetto di Biden, come Kirill è chiaramente il chierichetto di Putin, ma avrebbe bisogno di un mondo a lui vicino che riecheggi le voci dei russi, degli iraniani dei siriani, degli egiziani, degli iracheni, degli algerini, dei venezuelani, dei cubani e tanti altri che chiedono libertà dai loro tiranni.
Sostenere tutti questi fronti è compatibile con “l’interesse nazionale”, italiano ad esempio, quando veniamo a dittatori a noi vicini come nel caso di Algeria, Tunisia, Egitto ed altri? Certamente sì. E’ nostro interesse restare immersi in un mare di gerontocrazia cleptocratica e corrotta che riduce sul lastrico della disperazione interi popoli e quindi impara a usare il terrorismo (che poi combatte) per costringerci a tacere e sostenerli? Certamente no. Ma non possiamo sperare di risolvere il problema organizzando dei golpe per spodestare quei regimi. Occorre una “visione”, in cui lo sviluppo, il partenariato, condizionati a politiche inclusive della società civile, li porti prima o poi al cambiamento. E’ quello che non hanno fatto gli Emirati Arabi Uniti con l’Egitto: loro con un investimento deciso in poche di 35 miliardi dollari hanno salvato l’Egitto dal collasso determinato dalle folli politiche economiche di al Sisi e poi dal fuoco degli Houti, ma senza nulla chiedere. Anche perché a loro nulla interessava di uno sviluppo “civile” (non dico democratico) dell’Egitto.
Il caso della Russia è stato questo anni fa, quando si favorì la peggior fuoriuscita dal sistema economico sovietico. Si poteva fare meglio. Ma ora Mosca chiede l’impossibile: ridefinire le sovranità degli Stati in base alla propria ideologia imperiale e teocratica del “mondo russo”. Se non si vuole che tutti i despoti del mondo si uniscano a Putin per difendere se stessi, sapendo che Putin dispone della minaccia nucleare che terrorizza larghi settori della nostra opinione pubblica, converrebbe pensare ad un negoziato non tanto sull’Ucraina, dove ovviamente permane un problema di tutela delle minoranze, ma soprattutto sulla sicurezza e la cooperazione euroasiatica. Su questo punto capirsi, anche con questo Cremlino, è prioritario per il bene del mondo. Ogni Paese ha diritto alla propria politica nazionale di difesa, ma nessuno deve potersi sentirsi accerchiato. Io credo che questo sia un punto decisivo, sul quale i padri diplomatici del Segretario di Stato vaticano, i cardinali Casaroli e Silvestrini, hanno dato un contributo enorme in passato. Che potrebbe essere attualizzato.