“Servono più armi, dobbiamo produrne di più come abbiamo fatto con i vaccini”. Così Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue in corsa per le elezioni dove si presenta candidata dei Popolari per riprendersi l’incarico che terminerà il 31 ottobre 2024. E per questo conta sul sostegno della presidente del Consiglio Meloni. Evidentemente ritiene di ricevere più voti promuovendo nell’Unione europea una maggior quantità di introiti per aggiustare le economie traballanti del dopo Covid grazie all’industria della guerra.
Con questa frase choc, rivolta all’Europarlamento di Strasburgo riunito in seduta plenaria, che paragona con tipico cinismo politico uno strumento di vita a degli strumenti di morte, Von der Leyen sembra preparare il terreno in Europa per una guerra contro Putin, ora colpevole della morte del dissidente Navalny, come del resto la democratica Gran Bretagna lo sarà – temiamo, a breve – di quella di Julian Assange se continua così. (E le similitudini tra il “dissidente buono” e quello “cattivo”, a mio avviso, finiscono qui).
La Russia torna ad essere il vecchio/nuovo nemico da abbattere, se possibile con il concorso degli Stati Uniti, sempre che resti un democratico alla loro guida, visto che Trump ha già ammesso in tutta sincerità che preferisce investire in “casa propria”, spendendo per la difesa dei confini col Messico, piuttosto che nelle armi da mandare in Ucraina.
Nel corso del suo intervento Von der Leyen annuncia inoltre che “la guerra non è impossibile, l’Europa si armi: la libertà della Unione euroepa è in gioco”. E ci sarebbe pure una data: non ora, tra 5 anni, nel 2029. “I rischi di una guerra – ricorda – non dovrebbero essere esagerati, ma bisogna prepararsi. E tutto ciò inizia con l’urgente necessità di ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri. L’Europa dovrebbe sforzarsi di sviluppare e produrre la prossima generazione di capacità operative vincenti. E di garantire che si disponga della quantità sufficiente di materiale e della superiorità tecnologica di cui potremmo aver bisogno in futuro. Il che significa potenziare la nostra capacità industriale della difesa nei prossimi cinque anni”.
La guerra è un grande affare. Per questo nessuno la ferma. “Che la guerra sia diventata un affare lo dimostra il fatto che alla menzione generica del corpo d’armata si sostituisce, nella moderna società della tecnica, il nome della ditta che fabbrica gli aerei…”, scriveva nel Novecento il filosofo e sociologo francofortese Theodor W. Adorno. Due anni fa Biden aveva dichiarato che il conflitto in Ucraina sarebbe finito entro due anni: poi si è auto-smentito. Tant’è che ha risolto la questione degli aiuti a Zelensky con l’invio di nuove armi, dopo aver sostenuto di non voler colpire la Russia dal territorio ucraino. E in un articolo pubblicato sul New York Times ha fatto sapere che gli Usa forniranno a Kiev sistemi missilistici “più avanzati” per centrare “obiettivi strategici”.
Che la guerra sia un affare per gli stati traspare anche dalle recenti dichiarazioni del presidente francese Macron, che non esclude “l’invio di truppe occidentali per aiutare l’esercito ucraino”. Uno scenario ancora remoto, confessa il capo di Stato, da ora reso però possibile: benché i leader di Usa, Regno Unito e Italia si siano dichiarati contrari, qualcuno ne ha parlato.
Anche il recente appello di Draghi ai parlamentari di Strasburgo a “fare qualcosa”, a “non dire sempre no”, suona diverso alla luce delle parole della leader Ue, che lo ha investito lo scorso anno del compito di stilare un rapporto sul futuro della competitività europea. La richiesta del nostro ex premier sui conti economici somiglia all’allarme di von der Leyen: “L’Europa deve svegliarsi. E aggiungerei: con urgenza! Perché la posta in gioco è molto alta: la nostra libertà e la nostra prosperità”.
E cosa ci assicura prosperità? “Negli ultimi due anni, l’Europa ha dimostrato che sosterrà l’Ucraina per tutto il tempo necessario – osserva von der Leyen- E abbiamo anche dimostrato che un’Europa più sovrana non è solo un pio desiderio. L’Europa deve spendere di più, spendere meglio, spendere in modo europeo”. Già, e i fondi chi ce li dà? “Nelle prossime settimane presenteremo alcune proposte con la prima strategia industriale europea per la difesa”. Non solo, “la Banca Europea avrà un ruolo nel rafforzare la Difesa Ue”.
Dunque mercato e guerra, è questa la sovranità che cerchiamo? E’ questa l’Europa che vogliamo, in preda a rigurgiti nazionalisti e fascisti? Dove è finito il disegno di Altiero Spinelli a poco più di 80 anni dalla sua formulazione? “Per un’Europa libera e unita”, era il titolo originale, oggi conosciuto come “Il Manifesto di Ventotene”, uno dei testi fondanti dell’Unione europea, nato con l’idea di creare una federazione europea ispirata ai principi di pace e libertà, con base democratica dotata di parlamento e governo e alla quale affidare ampi poteri, dal campo economico alla politica estera.
Come escalation conduca a escalation lo dimostra lo stesso Putin, nel discorso appena tenuto all’Assemblea federale russa, “il suo messaggio elettorale” in vista delle presidenziali di metà marzo, a detta del portavoce Dmitry Peskov. Alle nazioni occidentali, nel caso considerino l’invio di truppe in Ucraina, il presidente risponde che il suo Paese reagirà e “sconfiggerà” la Nato sul proprio territorio.
“L’Occidente sta cercando di trascinare la Russia in una nuova corsa agli armamenti, ripetendo lo scenario degli anni Ottanta. Si stanno preparando a colpire il nostro territorio e utilizzano le migliori forze possibili per farlo”. E secondo il leader del Cremlino, la minaccia di espansione potrebbe innescare un “conflitto con l’uso delle armi nucleari e di conseguenza la distruzione della civiltà”.
C’è dunque una terza, imprevista parte nel programma “Armiamo Kiev”, dal momento che la Russia continua a mietere preoccupanti successi militari sul territorio. Invece di trovare soluzioni diplomatiche, invece di tentare delle mediazioni per una soluzione pacifica del conflitto (una pace giusta), al presente auspicata solo dal Papa e dalla Cina, invece di pensare con ragionevolezza a una forza di pace e agli aiuti dopo un “cessate il fuoco” duraturo – che (a quanto pare non) si spera imminente – si pensa a far prosperare i guadagni con una futura guerra europea. C’è poco da condannare: gli affari sono affari. In modo europeo, naturalmente, ossia formato Ue.