La morte violenta di una persona può derivare o da suicidio o da omicidio: è compito della giustizia stabilirlo. Se essa riguarda un giovane di 33 anni, cooperante impegnato in Colombia nella difesa dei diritti umani, non solo i familiari della vittima, ma l’intera comunità nazionale hanno il diritto e il dovere di pretendere che i giudici cerchino la verità superando ogni ostacolo e che lo stesso impegno esprima chi ha responsabilità di Governo nei rapporti con altri paesi e perfino con le organizzazioni internazionali.
Non si tratta di essere ottimisti o pessimisti, ma di ragionare. L’ordinanza con la quale il gip di Roma ha respinto la richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica, disponendo nuove indagini sulla morte di Mario Paciolla, è un passo avanti sulla strada della ricerca della verità. E però il percorso che resta da fare sembra ancora non breve. Vediamo perché.
Mario Paciolla era un giovane cooperante, che faceva parte – come volontario – di una Missione ONU avente il compito di verificare, in Colombia, l’attuazione degli accordi di pace tra il governo e le FARC e, in particolare, il rispetto dei diritti umani nei confronti degli ex-guerriglieri disponibili al rientro nella legalità e perciò al reinserimento nella società. Fu trovato morto nella sua casa di San Vicente del Caguan con un lenzuolo annodato intorno al collo ed alcune macchie di sangue sui polsi. L’ipotesi coltivata dagli inquirenti del luogo e fatta propria dalla Procura della Repubblica di Roma, competente a indagare sulla morte -non per cause naturali- di un cittadino italiano all’estero, è stata di un suicidio avvenuto per soffocamento, dopo un tentativo non riuscito di tagliarsi le vene. Al riguardo il gip è drastico, per non dire impietoso: «E’ evidente che una simile ricostruzione, seppure non materialmente impossibile, non appare francamente del tutto convincente sul piano logico». Ed altrettanto su alcuni particolari della stessa ricostruzione, analiticamente presi in esame: «Anche su questi aspetti, pur non trattandosi di circostanze del tutto impossibili a realizzarsi (…), non possono francamente negarsi serie perplessità sul piano logico».
E tuttavia, non sembra che il gip tragga le conseguenze imposte da tali premesse. E’ pur vero che l’ipotesi suicidaria è ritenuta non plausibile, in quanto formulata sulla base di ciò che trovarono gli inquirenti colombiani, recatisi sul posto al pari di delegati dell’ONU: questi ultimi rinvennero per primi il cadavere di Mario Paciolla nella sua casa, da dove avrebbero dovuto portarlo verso Bogotà, città di partenza dell’aereo diretto verso l’Europa. Il gip, peraltro, sembra porre le due ipotesi che possono avanzarsi sulla morte violenta di Mario Paciolla (suicidio e omicidio) sullo stesso piano: «Come è facile osservare, ogni ricostruzione presta il fianco a dubbi e incertezze». Correttamente, il gip osserva che, per sostenere l’ipotesi che il giovane sia rimasto vittima di un omicidio, occorrerebbe certezza su due circostanze: che egli abbia ricevuto la visita di estranei nelle ore immediatamente precedenti la sua morte; che, inoltre, al di là della pacifica sua percezione di sentirsi in pericolo, effettivamente la sua condotta di vita e, in particolare, i suoi rapporti di lavoro avessero fatto sorgere in altre persone motivi di risentimento nei suoi confronti. Su questi punti non si può negare che sia condivisibile quanto si legge nell’ordinanza: nessun elemento è stato acquisito in tal senso. Manca, tuttavia, la considerazione di un altro elemento, che avrebbe dovuto indurre il gip ad essere più possibilista rispetto all’ipotesi omicidiaria e, comunque, a non porla sullo stesso piano di quella suicidaria. Interpellati dagli inquirenti italiani sugli eventuali rapporti conflittuali avuti da Mario Paciolla nel suo ambiente di lavoro, i componenti della Missione ONU furono interrogati «alla presenza di un rappresentante dell’Organizzazione su espressa richiesta dell’Ufficio Affari Legali delle Nazioni Unite». La ragione di tale irrituale (secondo la legge processuale italiana) presenza sarebbe da ricondurre al pericolo che venissero rivelate notizie riservate -che tali dovevano rimanere- in merito alle attività dell’ONU in Colombia. E’ il gip che ne dà atto allorché affronta il tema di informazioni che Paciolla possa avere acquisito in merito al «bombardamento dell’agosto 2019»; fatto che – coinvolgendo la responsabilità del governo della Colombia e dei vertici militari di quel paese – era stato al centro di campagne di stampa volte a sottolineare le modalità particolarmente violente dell’accaduto, che aveva anche cagionato la morte di minori, nel quadro della volontà di piegare l’opposizione di alcuni gruppi armati al rispetto degli accordi di pace intervenuti con le FARC. Orbene, la modalità della assunzione di tali dichiarazioni non consente di fugare dubbi sulla sincerità e completezza di quanto riferito da ciascuna delle persone interpellate, oggettivamente assoggettate al controllo dei superiori sulle notizie da riferire alla PG italiana che rivolgeva loro domande su circostanze decisive per le indagini. Né può trascurarsi che questo elemento è del tutto coerente con altro, esplicitato anche nella richiesta di archiviazione e pacifico: il ruolo – davvero inquietante – svolto dagli emissari dell’ONU nella primissima fase delle indagini, allorché, ripulendosi la casa, fu alterata la scena del fatto, prima che si potesse avere certezza del completamento dei rilievi. A ciò, peraltro, il gip non sembra dare il giusto peso. Se, quindi, i rilievi svolti sul luogo del fatto fanno ritenere non convincente sul piano logico l’ipotesi del suicidio, quella dell’omicidio la si può escludere, oggi, solo trascurando tempi e modalità con le quali, prima, furono cancellate le tracce dell’accaduto e, poi, furono assunte le fonti orali interpellate per accertare le cause della morte.
Non solo. Vi sono altri due elementi, in contraddizione tra loro, che emergono dalla lettura dell’ordinanza. Per un verso, il gip esclude che «il PACIOLLA negli ultimi mesi di vita fosse in una condizione di isolamento pressoché totale», con conseguente aggravamento di eventuali sofferenze e inquietudini per questioni irrisolte. Nell’ordinanza si dà atto delle numerose risultanze indicative, invece, di una condizione opposta, tutt’altro che inducente a gesti anticonservativi, oltre che della assenza di elementi indicativi di patologie in atto. Per altro verso, il gip aggiunge che «non può nemmeno escludersi che la descritta condizione di stress (manifestata dal giovane a familiari e conoscenti: n.d.r.) abbia effettivamente determinato una “frattura”, una caduta psichica che abbia condotto Mario al falso convincimento di essere in grave pericolo e poi al suicidio». Ora, non solo quest’ultima affermazione appare apodittica. C’è anche un dato obiettivo non considerato. Solo poche ore prima della morte; acquistando il biglietto aereo per l’Italia nonostante alcune difficoltà insorte per il pagamento, a riprova di una evidente determinazione; Mario Paciolla aveva superato qualunque disagio collegato alla permanenza in Colombia, dimostrando ai familiari e ai componenti della Missione ONU di voler dare una svolta alla propria vita. Parlare di una «frattura psichica» che sarebbe subentrata nelle poche ore successive all’acquisto del biglietto aereo e antecedenti la morte si risolve nel formulare una mera illazione; e, contemporaneamente, nello svalutare una circostanza obiettiva, sostituendola con la «mera ipotesi» di un fatto: quella di una devastazione mentale che sarebbe maturata e precipitata in pochissimo tempo; una ipotesi tutt’altro che convincente sul piano logico.
Non può tacersi, peraltro, che le indagini imposte al PM dal gip hanno una loro ragionevolezza. Esse puntano ad approfondire il significato di alcuni rilievi effettuati al momento dell’accesso dei funzionari ONU e degli inquirenti colombiani nella casa della vittima. Sempre che ancora possibili, gli accertamenti potrebbero suffragare sia l’ipotesi suicidaria che quella omicidiaria (e comunque dovranno completarsi nei sei mesi dal 27-10-23, data di deposito dell’ordinanza). Occorrerà verificarne il puntuale svolgimento su impulso della Procura della Repubblica e, soprattutto, analizzare quale valutazione darà il gip al loro esito. La soluzione del caso, perciò, non può che rinviarsi agli ulteriori steps procedurali che seguiranno. La vita di Mario Paciolla, il suo impegno generoso per un mondo in cui si affermino la pace e il rispetto dei diritti umani meritano risposte di verità e giustizia. Altrettanto meritano i suoi familiari, al cui affetto egli venne strappato quando stava per ricongiungersi a loro.
*Francesco Gianfrotta è stato presidente sezione GIP Torino
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