Il corrispondente del Wall Street Journal Evan Gershkovich, arrestato in Russia con l’accusa di spionaggio, è rimasto un anno nella prigione di Lefortovo. Questo famigerato centro di detenzione di Mosca ha ospitato una lunga serie di prigionieri politici e non famosi ed è utilizzato dai servizi di sicurezza russi (FSB) per tenere i prigionieri in un isolamento quasi totale. All’ennesima apparizione simbolica davanti a un tribunale di Mosca, Gershkovich è stato rinviato in custodia almeno fino alla fine di giugno, il tempo che il governo russo prepari le accuse formali. La Russia fino ad oggi infatti non ha prodotto alcuna prova tangibile che il reportage del corrispondente del WSJ dalla città di Ekaterinburg possa essere considerato come spionaggio. Oramai è chiaro ai più che i funzionari del Cremlino lo trattino a mo’ di merce di scambio per liberare assassini, trafficanti d’armi e spie russe detenute in Occidente.
Un’operazione complessa era stata messa a punto per ottenere il rilascio di Gershkovich in cambio di un assassino russo, condannato in Germania per aver ucciso un oppositore di Putin. La Germania però era pronta a un accordo solo se Alexei Navalny, il leader dell’opposizione russa volato in Germania per riprendersi da un tentativo di avvelenamento da novichok, fosse stato rilasciato dalla prigione dove era stato mandato al suo ritorno in Russia. Con l’uccisione di Navalny qualsiasi accordo su Gershkovich è saltato. Gli appelli per il suo rilascio da parte del governo americano e dei giornalisti di tutto il mondo non hanno sortito il minimo effetto. Le condizioni di detenzione di Gershkovich, in una cella senza comunicazioni con l’esterno e con un’ora di esercizio fisico al giorno, non sono delle migliori.
Essere giornalisti in Russia è un compito ingrato. Un paese alle prese con una spirale liberticida in cui le restrizioni alla stampa, alla libertà di espressione e alla libertà individuale sono moneta corrente. Secondo il Committee to Protect Journalists, 43 giornalisti ed operatori dei media russi sono stati uccisi da quando Putin è diventato presidente nel 2000. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, quasi tutti i media indipendenti sono stati banditi, bloccati e/o dichiarati “agenti stranieri” o “organizzazioni indesiderabili”. Tutti gli altri sono soggetti a censura militare. Nelle prigioni russe sono rinchiusi ben 31 giornalisti e 4 operatori dei media.
Secondo RSF, negli ultimi anni, oltre alle pesanti condanne e persino alle torture subite da alcuni giornalisti, soprattutto a livello regionale, il frequente ricorso a multe e detenzioni di breve durata con vari pretesti si è aggiunto all’arsenale di intimidazioni sistematiche utilizzate contro i giornalisti. I media sono anche minacciati di essere inseriti arbitrariamente nella lista degli “agenti stranieri”, uno status che comporta pesanti ostacoli burocratici e rischi legali, e nella lista delle “organizzazioni indesiderabili”, che criminalizza qualsiasi menzione o collaborazione con i media presi di mira. Di fronte agli ulteriori rischi corsi dall’inizio della guerra in Ucraina, molti giornalisti che lavorano per testate indipendenti hanno scelto l’esilio.
(La foto di Evan Gershkovich tratta dal suo profilo social)