Non erano passati neanche due mesi dalla strage di Mostar, in cui tre giornalisti triestini — Marco Luchetta, Dario D’Angelo e Saša Ota — avevano perso la vita, dimostrando che la guerra che si stava combattendo al di là del confine, a due passi da casa, riguardava anche noi, ed ecco un’altra tragedia: altri due colleghi ammazzati mentre facevano il loro mestiere, un altro triestino che non fa ritorno. La guerra ci riguarda sempre, anche quando è apparentemente lontana.
Era il 20 marzo 1994, il giorno in cui in Somalia furono assassinati la giornalista Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, colui che quasi sempre viene indicato come il suo cineoperatore. Ma dare un nome e un volto alle vittime è importante: a quelle del Mediterraneo come a quelle della mafia, ai morti sul lavoro come a quelli che cercano la verità a mano disarmata. Fare memoria significa esercitare la responsabilità e rinnovare l’impegno che quella storia ci rimanda, significa riconoscere che quella vita era importante, aveva un senso, lascia un vuoto, non è un numero nella conta dei caduti.
Miran Hrovatin ha lasciato un grande vuoto a Trieste. Perché non era solo un professionista serio, di provata esperienza, capace di muoversi in contesti a rischio, ma anche e prima di tutto una persona, una bella persona: solare, ironico, entusiasta, curioso e incredibilmente buono, come ha ricordato una volta Giovanna Botteri, triestina, che con lui aveva lavorato tante volte.
Ci manca Miran Hrovatin: manca innanzitutto alla sua famiglia, ma anche ai suoi amici, ai suoi colleghi, manca alla Fondazione che porta anche il suo nome, assieme a quelli dei colleghi caduti a Mostar. Il 20 marzo porteremo un fiore sulla lapide che lo ricorda nella pineta di Barcola, la frazione affacciata sul mare all’ingresso di Trieste.
(Nota di ASSOSTAMPA FVG)