Amadeus ha sbancato, ma si sapeva. L’uomo è in gamba, sa il fatto suo, è furbo al punto giusto, sa scegliersi i collaboratori, ha un sodalizio con Fiorello che gli garantisce qualità e quantità senza eguali ed è stato in grado, in questi anni di egemonia culturale festivaliera, di condurre la kermesse nel ventunesimo secolo. Lasciatemelo dire da persona che viene da tutt’altro contesto e lì ritorna dopo questa settimana di splendida follia: Sanremo, per come l’ha inteso il presentatore romagnolo, costituisce ciò che un tempo rappresentava la Nazionale. Coniuga, infatti, l’alto e il basso, gli apocalittici e gli integrati, i politicizzati e gli apolitici, gli amanti del rap e delle nuove tendenze canore e gli appassionati di Fiorella Mannoia, chi non si perde un concerto e chi certi personaggi li segue una volta l’anno; insomma, ognuno si sente parte dello spettacolo, pienamente coinvolto nell’evento e protagonista di una festa di popolo della quale, specie di questi tempi, si avverte più che mai il bisogno. Al bando i seriosi! Siamo già abbastanza sconvolti da lutti e tragedie per privarci di un piccolo spazio di serenità che, per forza di cose, non può essere inquinato da eccessi politici e intellettuali. Tutto è politica, almeno in una società democratica, d’accordo, ma una politica declinata attraverso temi specifici, questioni generazionali, diritti civili e prese di posizione in ambito internazionale, una tantum, fa bene anche a noi che siamo costantemente immersi nelle beghe di un palazzo sempre più distante dalla quotidianità delle persone e nei drammi di una divisione socio-economica che sta spaccando il Paese.
Amadeus, col suo fare scanzonato, i suoi modi felpati, le sue trovate da falso ingenuo, la sua follia ai limiti dell’assurdo e, come detto, la sua amicizia indissolubile con quel genio contemporaneo chiamato Fiorello, si è potuto permettere di tutto: dalle uscite di Fedez l’anno scorso a John Travolta che danza in diretta sulle note del “Ballo del Qua Qua”, riuscendo nell’impresa di dissacrare e mettere simpaticamente in ridicolo un mito. E quando anche i mostri sacri vengono ricondotti a una dimensione umana e da bar, credetemi, ne traiamo vantaggio tutti. Nelle edizioni targate Ama, a pensarci bene, il segreto è stato proprio questo: non ci sono stati intoccabili. Chiunque, per avere il suo quarto d’ora di celebrità, si è dovuto mettere in gioco, ha dovuto portare sul palco la parte più vera di sé, non si è potuto sottrarre al giudizio del pubblico e ci ha dovuto dire chi sia realmente. Basti pensare alla vincitrice di questa edizione: la figlia d’arte Angelina Mango, seconda davanti al bravissimo Geolier, avversato da coloro che non hanno ancora capito che a Sanremo le colombe non volano più da un pezzo e che non esistono roccaforti inespugnabili. Del resto, se approfondiamo il concetto baumaniano di “società liquida”, ci rendiamo conto che la sua essenza è proprio questa: può non piacerci, diremmo quasi che deve non piacerci, ma ciò non è sufficiente a mutarla.
Non sappiamo come voti Amadeus, se abbia un pensiero politico né come si rapporti con la cosa pubblica; tuttavia, una cosa è certa: è riuscito a mettere insieme generazioni diversissime, linguaggi mediatici apparentemente inconciliabili, il piccolo schermo, la radio e i social, riuscendo nell’impresa di non far sentire nessuno “ai bordi di periferia”, per citare un Ramazzotti d’annata. Ha mescolato sapientemente comicità e serietà, buona musica e toni da discoteca, allegria e messaggi impegnativi, artisti già affermati e giovani promesse. Non tutto ci è piaciuto, ma è proprio questo il bello: se devi parlare a tutti, è doveroso scontentare un po’ ciascuno. E a me, questa Italia sfiancata e ultra-divisa che per cinque giorni l’anno si prende idealmente per mano, accantonando per qualche ora la furia abituale, è piaciuta moltissimo.
Ora Ama dice basta: dopo cinque edizioni trionfali, sa che ha fatto il suo tempo e si concentra su nuove sfide. Si apre il problema della successione: una bella grana per la RAI sovranista, a corto di idee e di talenti, con gli ascolti in picchiata e la brutta tendenza a premiare gli amici anziché i più bravi, per lo più migrati altrove. Al che, conoscendo la forza complessiva di Sanremo e la sua insostituibilità nell’agenda del Paese e nell’economia dell’azienda, vien voglia di dare un suggerimento: mettete Giorgia. Si chiama come la Presidente del Consiglio, anche se ha idee politiche assai diverse. Nonostante questo, è l’unica in grado di dar vita a capolavori ma di portare all’Ariston ciò che è adatto a quel genere di pubblico, di essere graffiante senza mai dividere troppo, di frequentare tutti i mondi con la stessa intraprendenza, di intonare canzoni bellissime e di non prendersi mai troppo sul serio. Per farla breve, è l’unica che possa raccogliere l’eredità di Amadeus senza farlo rimpiangere. E poiché qualunque dirigenza, nella città dei fiori si gioca la sopravvivenza, tendiamo a escludere che gli attuali vertici di viale Mazzini vogliano compromettere il proprio destino.