C’è nell’Italia di oggi il rischio di una “svolta autoritaria”, di una torsione del sistema politico “alla Orban”con una destra al comando che ostenta le catene e riduce il resto del paese senza voce, confinandolo all’opposizione? Un’analisi ragionata ci dice che i motivi di allarme non mancano di sicuro anche se è prematuro trarre conclusioni definitive perché i processi storici sono complessi, riservano sorprese. Per capire di più bisogna partire dal tema del cosiddetto Premierato. Cosa ha alle spalle e cosa c’è intorno alla “grande riforma” voluta dal governo Meloni?
Intanto dobbiamo ricordare che “una guerra dichiarata” alla Costituzione repubblicana del 1948 è già in atto da diversi decenni. La teoria che per risolvere i problemi italiani si debba consegnare il paese nelle mani di un “uomo forte” (che per la destra, l’hanno spiegato, resta uomo anche se è donna perché il potere è comunque maschile) è sempre stata presente nei programmi dei neofascisti italiani col loro mito del condottiero che guida il popolo con mani sicure e libere da ogni vincolo. Parallelamente poi in tempi più recenti ha trovato crescente consenso in ampi settori della nostra società la cosiddetta prospettiva post democratica, quella del grande leader ( politico o tecnico che sia) individua le soluzioni se lo si lascia governare senza che partiti e Parlamento si mettano di traverso.
Fatto così in modo necessariamente schematico “l’inquadramento storico” c’è però un altro aspetto fondamentale della questione che va colto. Come viene condotta sul campo questa “guerra alla Costituzione”? L’elezione diretta del capo del governo è una mossa isolata dettata dall’esigenza di rendere più efficiente e governabile il paese o c’è dell’altro? Qui va compreso che enorme importanza (nella prospettiva di una “controriforma” che rafforza l’esecutivo) hanno l’autonomia, l’indipendenza, la forza dei cosiddetti poteri o organismi di controllo. Prendete l’equilibrio fra Potere Legislativo e Esecutivo. Di fatto oggi è già il Governo che legifera imponendo, attraverso il voto di fiducia, la ratifica dei decreti che ha approvato Cosa accadrà con un ulteriore rafforzamento del ruolo del Primo Ministro? Parallelamente si accentuerà l’insofferenza verso l’azione della Magistratura che è un Ordine costituzionalmente riconosciuto?
Sono questioni totalmente aperte. Ma c’è un ultimo punto su cui mi preme focalizzare l’attenzione perché è quello sul quale c’è minore consapevolezza o se volete maggiore rassegnazione. E’ il tema della libertà di informazione. E’ tutelata dall’Articolo 21 della Carta del 1948 e da importanti pronunce della Corte Costituzionale. Ma è una tutela purtroppo debole. La Rai, anche se le sentenze della Consulta dicono esattamente l’opposto, è stata riportata sotto il pieno controllo dell’Esecutivo. Il giornalismo d’inchiesta è poi oggetto di continue campagne denigratorie e minacce nei tribunali e sui social, i giornalisti che pubblicano notizie che danno fastidio vengono intimiditi con abnormi richieste di risarcimento. Si votano infine leggi bavaglio per impedire che la opinione pubblica sappia quali siano le ragioni sostanziali che hanno motivato la incriminazione di un potente. Qui la riforma costituzionale a danno del diritto a essere informati (perno in Ungheria dello strapotere di Orban) è già in atto con effetti che comprimono il confronto democratico.
Quello che intendo dire è che la marcia verso il “premierato assoluto” necessariamente porta con sé anche una drastica riduzione delle voci libere e indipendenti, per questo è inesorabilmente autoritaria. “Nella oscurità la democrazia muore” è il motto del Washington Post. Dobbiamo ricordarlo sempre, in tempo utile.
(foto da “Unità di Resistenza periodico Anpi Venezia”)