All’accusa di putinismo abbiamo sempre risposto con sdegno. Noi, infatti, a differenza di chi ce l’ha scagliata addosso negli ultimi due anni, probabilmente avendo scoperto chi sia Putin il 24 febbraio 2022, di questo signore ce ne occupiamo da quando è comparso sulla scena, da quando altri, a cominciare da alcuni imbavagliatori attuali, ne tessevano lodi sperticate per compiacere i propri padroni di allora, infischiandosene delle decine di migliaia di morti che il nostro aveva seminato dalla Cecenia all’angolo più remoto del proprio Paese. Anche per questo, avendo sempre difeso le ragioni di personalità eroiche come Anna Politkovskaja, abbiamo le carte in regola per sostenere che il despota russo altro non sia che una risposta disperata, e come tutte le risposte disperate drammatica, all’imperialismo di segno opposto. Basti pensare all’accordo non scritto che era stato stipulato con Gorbačëv: la riunificazione della Germania in cambio del non allargamento della NATO. Nei “ruggenti” anni Novanta, invece, l’Alleanza atlantica si è espansa fino a giungere quasi sotto le finestre di Mosca, generando una reazione di proporzioni catastrofiche. Vladimir Putin, nostalgico dell’Unione Sovietica di Stalin, va inquadrato in questo contesto, altrimenti non se ne comprendono né la ferocia né le mire. E a coloro che continuano a trattare la geo-politica come un litigio da cortile, tentando di stabilire, in base ai propri preconcetti, figli della propaganda e di una sostanziale ignoranza, chi siano e dove si collochino i buoni e i cattivi, ci teniamo a far sapere che i buoni, in questo conflitto globale, non esistono. Ribadiamo: si stanno scontrando due imperialismi complementari, con l’aggiunta della Cina e di altre dittature di ritorno come Turchia e buona parte dell’Africa. Siamo nel cuore di “Caoslandia”, per citare un’espressione cara a Lucio Caracciolo, e non sappiamo come venirne a capo.
A tal proposito, la scomparsa di Alexej Naval’njy, a soli quarantasette anni, è aberrazione che si somma ad aberrazione. Diciamo che costituisce la versione russa del caso Assange, il giornalista australiano reo di aver reso note le nefandezze dell’Occidente nel decennio delle carneficine in Afghanistan e in Iraq nonché tutta una serie di dati che hanno messo a nudo la nostra fragilissima democrazia. Sono, ribadiamo, due facce della stessa medaglia, due vittime sacrificali di una battaglia senza esclusione di colpi che non tollera il dissenso, l’opposizione, lo spirito critico. Il guaio è che l’Occidente ha poche lezioni da impartire, e la nostra vera colpa è ricordare quest’aspetto: da qui gli insulti, più o meno sanguinosi e assolutamente ridicoli, di questo biennio di decadenza senza precedenti.
Papa Francesco, unica luce nel buio di un mondo sempre più sull’orlo del precipizio, continua a parlare di “Terza guerra mondiale a pezzi”, ben cosciente, secondo noi, del fatto che ormai il conflitto non sia più tale. Anche se non vogliamo ammetterlo, infatti, noi siamo in guerra. Siamo parte della crudeltà dilagante, la stiamo alimentando e ce l’abbiamo dentro, come dimostra un dibattito politico sempre più squalificato, censorio e privo di dignità. Per non parlare della frontiera del giornalismo, una trincea ormai abbandonata a se stessa e sostituita dell’esaltazione acritica del proprio “santo protettore” di riferimento. Non c’è spazio per la discussione e il confronto, meno che mai per il dubbio, l’analisi e la passione civile. Nel momento in cui persino un diplomatico come il cardinale Parolin viene trascinato nell’arena, per aver detto un’ovvietà come quella che ha affermato a proposito della mattanza in corso a Gaza, è chiaro che siamo ormai al “credere, obbedire, combattere”, con il solo moschetto in mano, dato che qualunque libro è considerato sovversivo. Non a caso, abbiamo sdoganato il fascismo in tutte le sue forme: dai partiti, con il peggio del peggio che avanza ad ampie falcate in Europa, alle espressioni, con il ritorno in auge di una pretesa di adesione acritica al pensiero unico.
Per fortuna, ed è il solo aspetto che ci induce a un minimo di ottimismo, l’opinione pubblica, per quanto mitridatizzata e disinformata, di queste guerre non ne avverte il bisogno. Il bellicismo delle classi dirigenti non ha attecchito quasi da nessuna parte. In compenso, lo sconquasso socio-economico che ogni devastazione reca con sé, ha favorito i soggetti più razzisti, fascisti, xenofobi e filo-putiniani presenti sulla scena, danneggiando quel che resta delle formazioni europeiste e chiunque abbia posto la pace a fondamento della convivenza civile, demonizzato come un nemico giurato di presunti “valori occidentali” che siamo stati i primi, da Bolzaneto a Guantánamo ad Abu Ghraib, a metterci sotto i piedi.
Se ne va Naval’njy, si sta lentamente spegnendo Assange nel carcere di Belmarsh e non rimaniamo qui, con le nostre penne e le nostre tastiere, a domandarci cosa siamo diventati. Di fronte a tanto orrore, le parole vengono meno.
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