Dopo l’ennesima audizione fiume dedicata alla strage di Via D’Amelio dalla Commissione parlamentare Antimafia guidata (nonostante la ribellione dei familiari delle vittime delle stragi) dalla On. Chiara Colosimo, mi è venuto un sospetto: vuoi vedere che il “depistaggio” è proprio questo? Cioè impegnare la Commissione in un improbabile lavoro di ricostruzione storica, precipitarla consapevolmente nell’abisso di una contrapposizione strumentale tra verità irriducibili, acquisire quintali di documenti, aprire ad ogni cambio palco nuove suggestive prospettive (come resistere ora alla tentazione di scoprire perché ci fossero dei giornalisti che nel 1991 non solo disponevano del dossier “mafia-appalti” consegnato a febbraio dal Ros a Giammanco, Falcone e Borsellino, ma che ne disponevano in una edizione già corredata dei riferimenti ai politici, tanto da scatenare una campagna diffamatoria contro la Procura di Palermo, rea di tenerli nei cassetti?), per interpretare un antico copione: “Facite ammuina”.
Per carità, soltanto un sospetto, che però spiegherebbe un altro mistero e cioè la spensieratezza apparente con la quale Colosimo sta gestendo l’inchiesta, pur avendo ormai chiaro che la strada imboccata, se dovesse essere davvero perseguita fino in fondo, la condannerebbe probabilmente al medesimo destino riservato a Massimo Giletti: l’arbitro che fischia il fuori gioco e la tv che si spegne.
E a cosa servirebbe questa “ammuina” vestita con l’abito tragico della strage di Via D’Amelio? A non parlare d’altro. Di tutto quell’altro che rischierebbe di creare imbarazzi all’azione di governo, già così ammaccata dalle “sgrammaticature istituzionali” dei suoi epigoni. Che altro? L’approvazione del ddl Nordio, in prima lettura in Senato, per esempio, che rappresenta non soltanto un riflesso minaccioso del disegno reazionario ed autoritario perseguito dalla destra (legittimazione dell’abuso di potere attraverso l’abolizione del reato di abuso di ufficio, stretta sul traffico illecito di influenze, stretta sulle intercettazioni, stretta sulle misure cautelari), ma anche uno schiaffo alla magistratura che ha protestato durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario: mai la politica così distante dalle reali necessità della Giustizia, è stato detto. Una Giustizia che per funzionare meglio avrebbe bisogno non soltanto di più magistrati e cancellieri, ma anche di proseguire nello stabilizzare dignitosamente le troppe essenziali figure precarie.
L’analisi approfondita dei rapporti tra mafie e politica non soltanto in certi Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa, come Anzio e Nettuno, ma anche nella Capitale. Perché se la forza delle mafie sta nelle cosiddette “relazioni esterne”, allora varrebbe la pena domandarsi quale sia oggi la mappa delle relazioni inconfessabili tra criminali e “colletti bianchi”, relazioni magari annodate dalla cocaina e che poi diventano buone per ogni altra evenienza. L’occasione la potrebbe fornire il decennale di “Mondo di Mezzo” (meglio non chiamarla più “Mafia capitale”) ed il pretesto potrebbe essere fornito da altre agende, magari non rosse, come quella sequestrata a Diabolik, ucciso il 7 agosto del 2019 al Parco degli acquedotti.
La droga che resta la “moneta di mezzo”, utile anche per tracciare i cambiamenti di impero tra i delinquenti: a Torino l’ultima operazione del genere ha smantellato un’organizzazione di origine albanese capace di commercializzare montagne di cocaina, in armonia con i vecchi padroni del mercato, tutti rigorosamente ‘ndranghetisti. Che altro? L’analisi di quello che succede nelle nostre campagne, capaci in questi giorni di conquistare la ribalta sia in Italia che in Europa a colpi di trattore. Perché ci sono almeno due notizie recenti che andrebbero raccolte, da un lato l’ennesima condanna (che arriva anche grazie alla riforma dell’art 603 bis del Codice Penale, realizzata nella XVII Legislatura) di un “padrone” che per anni aveva sfruttato malamente un bracciante di origine indiana nell’agro pontino, dall’altro l’ultima (in ordine di tempo) operazione contro la mafia dei Nebrodi, detta anche mafia dei pascoli, quella capace di dirottare illegalmente (anche grazie alle solite compiacenze alto locate) fiumi di denaro europeo destinato all’agricoltura. Quelle mafie che provarono ad ammazzare l’allora Presidente del Parco dei Nebrodi, Peppe Antoci, che aveva rotto tutte le uova nel loro paniere.
Ma ci sarebbe anche una buona notizia sulla quale fermarsi ed acquisire elementi: l’arresto in Corsica da parte del ROS di Marco Raduano (boss della feroce mafia garganica), fuggito rocambolescamente dal carcere di massima sicurezza di Nuoro, lasciandosi dietro lenzuola e domande inquietanti. Affrontare le quali, obbligherebbe a riaccendere i riflettori sulle carceri. Le carceri! Su cui veglia l’intrepido sotto segretario Delmastro, che pare ancora non abbia digerito il cenone di Capodanno.
(Da Il Fatto)
(Nella foto Chiara Colosimo)