L’ambasciatore israeliano attacca e la Rai si autoimbavaglia

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Imbavagliare, imbavagliare, imbavagliare. Rendere impossibile qualunque pensiero critico verso le valutazioni che il potere politico diffonde. Alla vigilia del dibattito parlamentare su interventi per zittire chi la pensa in modo diverso, ma anche per impedire che si conoscano verità non gradite, si è aggiunto un tassello al mosaico liberticida: un attacco frontale all’interpretazione della contemporaneità da parte dell’arte.

Lo ha portato l’ambasciatore israeliano in Italia, Alon Bar, contro le parole pronunciate a Sanremo, al termine della sua esibizione al festival, dal cantautore Ghali, “Stop al genocidio”. Una violenta lettera contro la Rai nella quale si afferma, tra l’altro, “Vergognoso diffondere odio e provocazioni da quel palco”.

Ora che l’ambasciatore d’Israele si rifiuti di riconoscere quanto ammesso anche dalla Corte dell’Aia ci può stare, ma che pretenda che nessuno usi quel termine confermato dalle cronache quotidiane che descrivono il feroce attacco militare del suo Stato a Gaza è veramente troppo. Non solo, ma lo fa intervenendo su un fondamentale strumento di ibera diffusione della conoscenza qual è la Rai.

E la Rai, che fa? Invece di difendere se stessa, il proprio ruolo di garanzia per gli artisti, pur eventualmente prendendone le distanze, si genuflette davanti all’ambasciatore, ignora in un comunicato quanto avviene ogni giorno a Gaza, per fare riferimento solo alla tragedia del 7 ottobre, il giorno dell’attacco di Hamas.

Evidentemente per l’ambasciatore e il suo primo ministro contano solo i  propri morti; tutti gli altri, bambini, anziani, donne, possono benissimo essere carne da macello. Non vengono neppure definiti ‘danni collaterali’, come si usava durante la guerra in Vietnam. Evidentemente per Israele quelle 30mila vittime civili sono state tutte  complici di Hamas ed è giusto che siano state eliminate. Fino a quando? E fino a quando quella parvenza di luogo politico comunitario che si pensava potesse essere l’Onu non avrà alcun peso decisionale? Solo denunce, come con continua, coraggiosa  determinazione continua a fare Papa Francesco, l’unico che insistentemente condanna l’odio nelle relazioni umane.

Basta odio, dunque. Ma perché la stessa domanda non se la pone il regime israeliano? Possibile che nelle valutazioni di Netanyahu e colleghi non entri l’ipotesi che tante scelte scellerate producano un rinascere e diffondersi dell’antisemitismo? Possibile che non si pongano il problema di cosa c’è in comune tra questo modo di intendere il potere e la cultura ebraica? Possibile che personaggi storici del peso e dell’umanità di Rabin e Peres non contino più nulla?

Che Netanyahu si opponga all’idea dei due Stati, che non voglia in alcun modo  dare questo riconoscimento alla Palestina dipende dalla sua concezione imperialista e guerrafondaia, ma possibile che il popolo israeliano possa davvero condividere questa folle scelta?

Infine. Perché in questa immane tragedia si sente solo la voce di Israele? Perché non si dà spazio ad Abeer Odeh, l’ambasciatrice palestinese in Italia? Non sarà che anche i rappresentanti istituzionali del popolo palestinese vengano sospettati d’essere collusi o complici di Hamas? La Rai, dopo la risposta completamente di parte data all’ambasciatore Alon Bar, perché non cerca di recuperare credibilità? O conta solo quanto dichiarato da Maurizio Gasparri?


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